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Cronaca

Coronavirus: per i periti "fatale il ritardo nel ricovero" di Stefano Brando, il medico morto di Covid

Depositato l'elaborato degli specialisti incaricati dalla famiglia del dottore deceduto dopo aver contratto il virus: ribaltate le conclusioni dei consulenti della Procura di Perugia

“A seguito della metodologica applicazione del ragionamento controfattuale, non è dimostrabile oltre il ragionevole dubbio che il decesso sarebbe egualmente occorso in caso di adozione della condotta esigibile, rappresentata da una doverosa anticipazione nel ricovero ospedaliero, così come ricavabile da documenti di consenso e dalle raccomandate precauzioni”.

I periti nominati dai familiari del dottor Stefano Brando, parenti assistiti dall’avvocato Marco Piazzai, hanno depositato il loro elaborato in merito alla morte per Covid del medico, dopo che si era speso per i suoi assistiti prima di contrarre il virus, ritengono che un intervento più puntuale e il ricovero più celere in ospedale, probabilmente, avrebbero portato ad un altro esito: “In sostanza e con oggettività scandita proprio dai sanitari in sede ospedaliera, il dottor Brando fu ammesso con una polmonite da cui, evidentemente, era già affetto in sede domiciliare, come dimostrato dalla saturazione di ossigeno; condizione patologica che evidentemente è stata sottovalutata e che come sempre affermato dai consulenti tecnici del pubblico ministero sarà la condizione patologica che condusse il paziente all’exitus”.

Dopo l'esposto della famiglia, il sostituto procuratore Giuseppe Petrazzini aveva aperto un fascicolo per omicidio colposo e affidato ad Antonio Oliva, Vincenzo Arena e Andrea Arcangeli l'autopsia su Brando per stabilire le cause della morte ed eventuali negligenze nelle cure, chiedendo ai Carabinieri del Nas di conoscere anche lo stato di occupazione dei posti letto in ospedale nei giorni della seconda ondata del Covid-19 e sul perché non fosse stato ricoverato subito. Nella lunga relazione consegnata in Procura i consulenti ritengono che non via sia responsabilità in capo ai sanitari del 118 come ai professionisti che hanno avuto in cura nelle tre settimane in cui Brando ha lottato contro il virus.

Anche le quattro telefonate con le quali si chiedeva il ricovero non sarebbero da considera una negligenza, ma solo un evento legato all’attesa e a disagi creatisi nel pieno della seconda ondata.

Secondo i periti di parte, però, “nel caso di aggravamento delle condizioni cliniche, durante la fase di monitoraggio domiciliare, deve essere eseguita una rapida e puntuale rivalutazione generale per verificare la necessità di una ospedalizzazione o valutazione specialistica, onde evitare il rischio di ospedalizzazioni tardive”.

Nel caso specifico “è dunque possibile sostenere la difformità delle condotte sanitarie nel caso prestate, da quelle effettivamente dovute così come desumibili dalle raccomandazioni e buone pratiche assistenziali per la gestione domiciliare dei casi di Covid-19 e, quindi, la necessità di anticipare il ricovero ospedaliero del Brando”. Per i periti della famiglia, il professor Vittorio Fineschi del policlinico Umberto I e il dottor Matteo Scopetti della Sapienza, “l’approccio assistenziale adottato fu quello di confidare nella professionalità del paziente - incaricandolo della gestione di sé stesso - e dissuadere dalla scelta dell’indispensabile ricovero ospedaliero”. Una scelta, quella del “ritardo nella ospedalizzazione” che ha influito “in termini di elevata probabilità scientifica una sensibile riduzione delle possibilità di un intervento proficuo sulla ingravescente disfunzionalità respiratoria manifestatasi”.

Per i periti, quindi, “il ritardo di oltre 24 ore, in tale paziente, sicuramente ha indotto una evoluzione sfavorevole del prognostico, privandolo di prevenire la progressiva defaillànce respiratoria che concluse l’iter clinico in pochi giorni e che contrassegnò sin dall’inizio del ricovero il segnato epilogo della vicenda” con il decesso del dottore il 19 novembre del 2020.

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