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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Correva l'anno di Marco Saioni | Perugia 1910, il Canevale non è roba per lavoratori: in strada i divieti per "il buon decoro" e nei circoli l'ostilità dei "signori"

Punti di vista. Quelli proposti dalla stampa nel riferire il tempo di Carnevale in città e nelle campagne limitrofe. Così al gran ballo dei Filedoni è presente l’inviato dell’”Unione liberale” lesto a descrivere, con alto tasso di superlativi, lo squisito clima delle “fulgentissime sale”. Insomma “quanto di più fine ha la nostra mondanità per eleganza censo e bellezza”. Segue a valanga un minuzioso catalogo di conti, marchesi, baroni e relative contesse, marchese, baronesse, da impiegare i tre quarti dello spazio in pagina. Non ancora pago, il cronista, ritenendo di fare cosa gradita al lettore e ancora più ai partecipanti, passa al computo degli elegantissimi frack indossati dai signori e alla minuta disamina del guardaroba femminile. Ma come trovare gli aggettivi adatti, si lamenta il cronista, per raccontare “le più fulgide venustà femminili” essendo il vocabolario “troppo scialbo rispetto alla sontuosità dell’evento” che per la cronaca si protrasse fino alle quattro del mattino. Lasciamo l’hombre vertical del giornalismo locale nel suo disagio espressivo per dare la parola al settimanale progressista.

Qui ci si lamenta delle strade deserte e senza più allegria di maschere. In città solo le “disposizioni prefettizie per i divertimenti carnevaleschi ” quelli che vietano l’offesa al buon costume o “sconvenienti allusioni” e poi guai a gettare farina, coriandoli o altro che possa molestare. Tutti materiali che in ogni caso necessitano di preliminare approvazione da parte dell’autorità. Insomma una quaresima di fatto che alimenta la già diffusa “musoneria”. Del resto l’indigenza non consente, se non a pochi, “la tradizionale maccheronata e gli strufoli caldi” poiché preoccupati del pranzo di domani, degli affitti in aumento, il vestiario per la famiglia. “Altro che cenoni, balli e teatri”. Un’altra storia, quando l’occhio fruga tra la moltitudine di quelli con isee depresso. In realtà eventi pubblici e più alla portata si allestivano nei locali delle associazioni, oltre che nei teatri, dove si premiavano le maschere. Certo, niente a che vedere “con i costumi dei beati tempi goldoniani”, celebrati nei veglioni allestiti nelle ville dei ricchi. 

Tutti abiti di sartoria teatrale, quelli lì. No, qui ci si contentava dei travestimenti da indiani, probabilmente memori del circo portato in città da Buffalo Bill. Immancabile il Bartoccio ma anche costumi sardi, vai a sapere. Niente titoli o toilette da menzionare, stavolta, solo un cortese saluto a signori e signorine intervenuti. Magari sarà stato casuale, ma il resoconto di una festa a Ponte San Giovanni, da parte del quotidiano inneggiante l’aristocrazia, ha l’aria di voler girare il coltello nella piaga. Al circolo ricreativo, di ispirazione democratica, sorto “con lo scopo apparente di riunire per finalità educative e ricreative i buoni popolari della frazione” erano d’obbligo i valori di uguaglianza e fraternità. Magari senza esagerare, sembrerebbe. Così, qualcuno dei soci, per lo più operai e
contadini, propose di allestire una festa danzante per Carnevale. Una buona idea, seppure una sottile apprensione mutò presto nel panico. Ai dirigenti si materializzò infatti lo spettro di un veglione, dove loro stessi e le rispettive dame, avrebbero inevitabilmente incrociato le danze con personaggi rustici e malvestiti.

Una pausa di riflessione s’impose. Dal pensatoio febbrile uscì la soluzione. Cari signori, il locale, lo vedete bene, è troppo piccolo. Meglio dunque dividerci e organizzare due feste distinte. E a questo punto l’”Unione Liberale” ha gioco facile, nel riportare la composizione delle liste. Da una parte i democratici eccellenti, dall’altra quelli di basso lignaggio. La soluzione non convinse il ceto popolare, subito insorto. E questa sarebbe l’uguaglianza che strombazzate? Messi alle strette da una logica stringente, i democratici borghesi abbozzarono buon viso ma al momento delle danze fu strategia di esodo verso l’uscita, adducendo improbabili intervenuti impegni. E’allora che valzer e mazurka mutarono accento per dare vita ad una specie di corsa dei ceri. Tavoli e sedie in volo radente, vetri rotti, vortice di coriandoli. Non ci sentiremmo di escludere, per una sorta di rivalsa proletaria, generose pacche nelle parti più morbide delle signore democratiche. Del resto a Carnevale ogni scherzo vale.

A completare il quadro dei punti di vista, vale dare voce anche alla stampa mangiapreti, lesta a trafiggere quei parroci che sotto carnevale andavano questuando, specie tra i contadini, “per suffragare, dicesi, le anime del Purgatorio”. Attenti dunque a lesinare offerte per non incorrere in ritorsioni fatte di scomuniche, dannazioni eterne, ma anche divieti “nel modo più violento per veglie e feste da ballo”. Anche altre astuzie sono messe in campo per alimentare la “santa bottega”. Talvolta si ricorre a blandire “le amate pecorelle regalando loro delle belle carezze e delle dolci parole per scroccarsi torte, strufoli e vino in quantità”. E poi consigli per gli acquisti. Il negozio di Ceccherini in Corso Cavour invita tutti a suonare per Carnevale con i suoi strumenti, disponibili anche in comode rate.

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