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Cronaca

CORREVA L'ANNO di Marco Saioni | Perugia 1906, la passione per i funghi tra sequestri, avvelenamenti, consigli e spaccio clandestino fuori porta.

Nottataccia per Augusto, operaio diciassettenne di Corso Bersaglieri, travolto da feroci spasmi per rissa di ventre. Subbuglio in famiglia tra ansia crescente e vani espedienti di cura. Ma certo, i funghi, quelli acquistati al mercato. Si era ingozzato a cena, senza misura, pareva che tutti i sensi gli fossero accorsi in gola. Mistero svelato. La Croce Bianca trasferì d’urgenza il ragazzo all’ospedale, ormai maschera di dolore e gemiti. Il medico di guardia accertò l’avvelenamento e dispensando le sgradevoli cure del caso lo pose fuori pericolo.

Brevi di cronaca ricorrenti in autunno. La stampa, data l’assiduità del fenomeno, si spende spesso per allertare i consumatori, invitando alla prudenza nell’acquisto e nella raccolta di tali alimenti. Un vero delirio quello dei perugini per i funghi, stando ai molteplici resoconti dei quotidiani locali, particolarmente scrupolosi nel denunciare situazioni irregolari, spesso connesse alle dinamiche di mercato. Del resto il costo accessibile del prodotto ne decretava il successo e il largo consumo. Ma la piazza non è sicura e occorre tutelarsi, ammoniscono i giornali. La sorveglianza dell’Ufficio Sanitario e dei vigili che sottopongono a controlli accurati i panieri delle contadine è infatti troppo spesso schivata. Le stesse, per timore di vedersi sequestrata la merce, alla vista delle guardie svicolano per trovare rifugio all’interno della chiesa del Gesù. 

Manovra che tuttavia non sempre sfugge ai controllori, pronti a violare la tutela divina in nome della salute pubblica. E allora è sequestro drastico. A farsi immondizia sono quelli un po’ frollati o di dubbia qualità, magari non venefica ma probabile causa di sconvolgimenti gastro intestinali. Si fa pressione anche sugli acquirenti, come accaduto alla signora, cui l’addetto dell’Ufficio Sanitario consigliò vivamente di buttare quelli appena acquistati. Neanche per sogno, fu la risposta, li aveva pagati e certamente li avrebbe consumati poiché buonissimi. “Contenta lei” la rassegnata replica. La pressione delle autorità sui panieri alimenta tuttavia una diffusa rete di spaccio nei pressi delle porte cittadine con cessioni clandestine a prezzo ridotto, data anche l’elusione del dazio. Un rischio presunto che tuttavia valeva la candela, i ghiotti acquirenti essendo persuasi della genuinità del prodotto raccolto da persone ritenute in grado di riconoscere le specie nocive. Mettici pure il risparmio.

A contrastare tali convinzioni è un curioso commento del cronista, teso a ipotizzare una sorta di mutazione biologica ormai consolidata tra la gente di campagna che “spesso e volentieri si ciba di enormi quantità di funghi delle qualità più scadenti e poco accette dal mercato, senza tuttavia risentirne mai danno.” Da cui la condanna, poiché non sarebbe inconsapevole superficialità porre in vendita prodotti pericolosi per la salute ma solo avidità di guadagno. Attenzione dunque, loro sono immuni ma voi cittadini no. Avvertimenti e puntuali cronache sugli effetti malefici dei funghi, incautamente acquistati fuori controllo delle autorità, non sembrano tuttavia contenere lo smercio occulto. Il contrabbando dilaga con cessioni furtive affidate a una consolidata grammatica di gesti d’intesa tra cliente e spacciatore. 

Ritenendo i funghi di scarso valore, in ogni caso responsabili delle numerose intossicazioni, il Comune vara un regolamento che ammette la vendita unicamente limitata ad alcune specie, quali “porcini, biette, manciole e turini”, vietata ogni altra qualità. Nessuna riflessione sul fatto, sempre presente nei casi di tossicità riscontrati, che l’evento scatenante sia dovuto non tanto alla qualità dell’alimento o alla sua cattiva conservazione, quanto all’ingordigia allucinogena dei consumatori, incapaci a governare l’appetito. Di tale cupidigia fece le spese la moglie del contadino cinquantaduenne Ilario Salvatori, inferocito verso la consorte, rea di aver gettato dei funghi da lui stesso raccolti, ritenendoli non commestibili. Furono dapprima i vicini a frapporsi, ma dentro le mura di casa fu il bastone a roteare. 

Non pago, mise mano a una lima con sezione triangolare che affondò nella tempia della donna per dieci centimetri “per modo ch’essa perdé la favella” come riferì con eleganza d’endecasillabo il cronista. Però le fasciò il capo e la pose a letto prima di chiamare il dottore, per curare un’indigestione, sostenne. Ma i medici tendono ad insospettirsi in presenza di un ferro conficcato in testa, così la bizzarra diagnosi dello scrupoloso marito crollò. I giudici ritennero congrui dodici anni per aver eccessivamente reagito a “provocazione lieve”. Difficile stabilire se lieve sarebbe stata ritenuta anche dai voraci seguaci del miceto.
 

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