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Cronaca

Colleghi sotto processo per insulti omofobi e mobbing nei confronti del dipendente: 5 assoluzioni e una condanna

Il giudice del Tribunale penale di Perugia ha emesso una condanna a 6 mesi, mentre per gli altri imputati ha emesso sentenza di non luogo a procedere per tardività della querela

Cinque assoluzioni (o meglio dichiarazione di non luogo a procedere per tardività della querela) e una condanna a 6 mesi nel procedimento per insulti omofobi e mobbing sul luogo di lavoro nei confronti di un dipendente ritenuto troppo effemminato.

La pubblica accusa ha chiesto la condanna a 2 anni per la responsabile del personale, 1 anno per un altro responsabile e 8 mesi per un superiore di reparto. Per gli altri tre imputati il pm ha chiesto 6 mesi. Alle richieste di sono associati i difensori della parte civile, l’avvocato Rita Urbani e l’avvocato Saschia Soli per Omphalos Arcigay Arcilesbica.

Secondo l’accusa i sei, quattro uomini e due donne, difesi dagli avvocati Gennaro Esibizione, Massimo Lipparini e Marco Gentili, avrebbero, a vario titolo, “maltrattato il dipendente, sottoponendolo a continue e ripetute condotte vessatorie e discriminatore” da cui “scaturiva una situazione di obiettiva costrizione e soggezione psicologica”.

Il giudice del lavoro, in quanto i dipendenti coinvolti erano stati poi licenziati, aveva disposto il reintegro ritenendo il provvedimento di licenziamento ingiusto a fronte di comportamenti non provati dalle testimonianze.

Per la Procura di Perugia i superiori avrebbero tenuto nei confronti del dipendente a tempo indeterminato dei comportamenti molesti: una delle imputate lo avrebbe minacciato “di licenziamento qualora non fosse stato più in grado di fare le consegne dopo l’infortunio sul lavoro” e lo avrebbe obbligato a consegnare “la certificazione medica attestante il ricovero a seguito di tso presso il reparto psichiatrico dell’Ospedale di Perugia benché la mattia fosse ampiamente documentata ai fini previdenziali”.

Gli altri imputati lo avrebbero diffamato chiamandolo “frocio, checca, finocchio” alludendo apertamente, e falsamente, a prestazioni sessuali a pagamento del collega nei luoghi della prostituzione a Perugia. In altre occasioni avrebbero istigato altri colleghi a tenere comportamenti vessatori, continuando ad insultarlo con espressioni offensive relative all’orientamento sessuale o simulando una camminata effemminata quando andavano a prendere il caffè alla macchinetta aziendale.

Il dipendente sarebbe stato diffamato in quanto chiamato “con l’appellativo ‘matto’” di fronte “agli altri dipendenti dell’azienda” oppure insultandolo davanti a tutti e chiamandolo “imbecille” e “cretino”.

Secondo la Procura anche il trasferimento in una sezione distaccata per “farlo lavorare in condizioni di totale isolamento ed emarginazione” oppure affidandogli un incarico che “di fatto, era privo di mansioni”, fino al licenziamento sarebbe passibile di condanna.

I comportamenti attuati da superiori e colleghi, come parlare “davanti agli altri imitando l’accento del collega e “contestualemente ondeggiare i glutei e muovere la mano con fare effemminato alludendo al suo orientamento sessuale” avrebbero indotto “un grave e perdurante stato di ansia” nella parte offesa.

Adesso al termine del procedimento è arrivata la dichiarazione di non luogo a procedere perché la querela è tardiva, in quanto i fatti sarebbero avvenuti nel 2010 e la denuncia è stata presentata nel 2015, in riferimento allo stalking, reato procedibile a querela di parte se fatta entro 6 mesi. Nel dibattimento è emerso che avrebbero smesso di tenere quegli atteggiamenti già nel 2013.

Il giudice ha condannato un unico collega, a 6 mesi con pena sospesa e a una provvisionale di 5mila euro a favore della vittima e 4mila a Omphalos, oltre alle spese legali. La responsabile del personale era accusata di maltrattamenti, visto che il mobbing non è normato, ma i suoi comportamenti sono stati derubricati a stalking e, quindi, con la necessità della querela. L’unico condannato, però, è stato condannato in concorso con i prosciolti. Bisognerà attendere le motivazioni per comprendere il ragionamento del giudice, anche ai fini del procedimento risarcitori in sede civile.

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