rotate-mobile
Cronaca

"Quella roba non è mia", condannato per la refurtiva in camera da letto e in garage

L'imputato ha provato a spiegare ai giudici di non sapere come fosse finita nella sua abitazione tutta quella refurtiva

“Quella roba non è mia”, “ma era in casa sua”, “sì, ma non so come ci possa essere finita”. A fronte di queste giustificazioni la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per ricettazione a carico di 33enne rumeno a 2 anni e 1.000 euro di multa inflitta dal Tribunale e poi dalla Corte d’appello di Perugia.

L’imputato aveva fatto ricorso contro la condanna per “ricettazione di svariati capi di abbigliamento, oggetti di elettronica e bigiotteria”, sostenendo che i giudici non avevano preso in considerazione la sua totale estraneità al possesso dei beni rubati, pur trovandosi in casa sua.

Per i giudici della Cassazione non vi è stata alcuna mancanza dai giudici di primi grado e di appello nel valutare la colpevolezza dell’imputato, sulla base della prova “del rapporto di diretta disponibilità tra l'imputato e i beni di provenienza delittuosa, si potesse ricavare non solo dalle deposizioni testimoniali e dal rinvenimento dei beni nella sua camera da letto, ma anche dall'assenza di una spiegazione alternativa, verosimile ed esauriente da parte dell'imputato, data anche la quantità e diversità dei beni rinvenuti nella sua stanza da letto e nell'autorimessa”.

Per questo è stata confermata la condanna e disposto il pagamento di 3mila euro a favore della Cassa delle ammende e delle spese processuali.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

"Quella roba non è mia", condannato per la refurtiva in camera da letto e in garage

PerugiaToday è in caricamento