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Cronaca

La Questura chiude il servizio di tarocchi, il Tar lo riapre: "La tariffa a pagamento non è una truffa"

Secondo i giudici amministrativi è vietato il mestiere di "ciarlatano", ma non è equiparabile, senza indagini, alla professione di cartomante al telefono

La Questura di Perugia chiude il servizio di cartomanzia per telefono, il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria lo riapre (a distanza di 4 anni) ritenendo che non si tratti di attività illecita.

Il provvedimento di chiusura del servizio era stato disposto dalla Questura nel 2017 dopo un accesso nella sede dell’azienda che forniva la lettura di carte per telefono, attraverso un numero a maggiorazione (tipo 899). Secondo la Questura si sarebbe trattato di un servizio che sfruttando la credulità popolare avrebbe truffato gli utenti. Questo in quanto l’attività di call center e di servizi di cartomanzia sarebbe stata svolta tramite “utenze telefoniche a sovrapprezzo” e pubblicizzata nel sito internet. In violazione del Testo unico di pubblica sicurezza, laddove prevede il divieto di esercizio di “un’attività diretta a speculare sull'altrui credulità o a sfruttare od alimentare l'altrui pregiudizio”.

La difesa della titolare del servizio di cartomanzia, tramite gli avvocati Edoardo Maglio e Alessandro Bovari, ha sostenuto che la Questura non poteva stabilire “apoditticamente l'illiceità” del servizio e infliggere “una sanzione pecuniaria” senza accertare lo svolgimento del servizio. E che lo svolgimento del servizio di cartomanzia non è equiparabile, di fatto, a quello di “ciarlatano” sempre e comunque.

I giudici amministrativi hanno ritenuto che se il Tulps “vieta espressamente il mestiere di ciarlatano”, non è detto che la cartomanzia sia per forza vietata “in sé e per sé dall’ordinamento, ma solo laddove venga svolta con modalità idonee ad abusare dell'altrui ignoranza e superstizione”. E non era questo il caso, essendo il servizio, con tanto di costi, ben pubblicizzato nel sito, senza “indurre in errore o sfruttare la credulità del consumatore”.

Per il Tar, quindi, “l’esercizio di attività di cartomante a mezzo di utenza telefonica non è sufficiente di per sé ad integrare la fattispecie di ciarlataneria prevista dalla normativa di pubblica sicurezza, in assenza di adeguata indagine sull’idoneità della stessa a produrre abuso della credulità popolare e dell’ignoranza”.

Da qui l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento di chiusura del servizio di tarocchi.

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