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Cronaca Spoleto

Spoleto, "Perchè non parlo": ergastolano racconta scelta di non collaborare

La lettera che riportiamo è scritta da Carmelo Musumeci, ergastolano ostativo recluso da oltre 20 anni nel carcere di Spoleto, che scrive per spiegare la sua scelta di non parlare

Carmelo Musumeci, dopo aver preso una laurea in legge, continua le sue pubblicazioni dal carcere di Spoleto. Il detenuto catanese sta scontando un ergastolo ostativo, che è una pena senza fine in base all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, modificata con Legge 356/92 e che nega ogni misura alternertiva al carcere e ogni beneficio penitenziario ai chi è stato condannato per reati associativi.

La lettera comincia con una citazione  del poeta religioso Turoldo.

Già di per sé il crimine è pena (David Maria Turoldo)

Fra un uomo ombra, un cattivo e colpevole per sempre, un ergastolano ostativo a qualsiasi beneficio se non collabora con la giustizia e se nella sua cella non ci mette un altro al posto suo, e una suora di clausura del Monastero Domenicano di Pratovecchio è nata una corrispondenza e un rapporto d’affetto e di amicizia.

Suor Grazia mi scrive:

La gente mi chiede: Perché Carmelo non parla? Perché non collabora? Io devio un pò il discorso perché non so cosa rispondere. Dimmi qualcosa a riguardo. Dimmi cosa devo rispondere a questa gente

Io le rispondo:

Cara Suor Grazia, potrei dirti semplicemente che non parlo perché “Chi fa la spia non è figlio di Maria” o perché, giusta o sbagliata che sia, ognuno deve scontare la propria pena senza comprarsi la libertà e senza usare la giustizia per mandare un altro al posto suo in carcere. Potrei dirti che non collaboro con la giustizia perché uno dovrebbe uscire dal carcere perché lo merita, senza accettare ricatti da uno Stato ingiusto e fuorilegge, che prima mi ha insegnato a delinquere e poi mi ha condannato a essere cattivo e colpevole per sempre.

Cara Suor Grazia, potrei dirti che non parlo perché ora i giudici dicono che la mia vecchia organizzazione non esiste più e i miei vecchi complici si sono rifatti una vita e ora sono dei buoni genitori, dei buoni mariti e dei buoni cittadini e quindi perché li dovrei far sbattere in carcere? Potrei dirti che non collaboro con la giustizia perché non c’è solo la legge degli uomini, spesso ingiusta, c’è anche le legge dell’amicizia, dell’amore, del cuore e forse anche quella di Dio che mi proibisce di tradire vecchie amicizie e di far soffrire altre persone.

Cara Suor Grazia, potrei dirti che non parlo perché se ho commesso dei reati la prima vittima sono stato io, e in tutti i casi, comunque sia andata, nei miei reati non è mai stato colpito un innocente. Lo so, non è una giustificazione, ma per me è importante. Invece, cara Suor Grazia, ti dico che avrei potuto collaborare con la giustizia solo quando ero un criminale: ora mi sento una persona migliore e diversa e non lo posso più fare perché la mia libertà, la mia felicità non deve costare sofferenza ad altri.

E poi dopo vent’anni dai fatti non c’è più bisogno di mettere in carcere nessuno senza contare che in prigione non c’e giustizia: c’è solo odio e sofferenza. Cara Suor Grazia, come mi hai insegnato tu, è il perdono e non il carcere che ci potrebbe permettere di essere persone migliori, perché la galera non migliora nessuno: può solo peggiorarti e poi penso che chiunque mandi in carcere un altro al posto suo si autocondanna all’infelicità.

Cara Suor Grazia, poi, per ultimo, non parlo perché sono sicuro che anche tu al posto mio faresti lo stesso. Il mio cuore e la mia ombra ti vogliono bene.

Carmelo Musumeci

Carcere di Spoleto




 

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