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Cronaca

Maxi operazione anti droga, 36 arresti: dai capi all’addestramento dei pusher: “Devi lavorare bene”

Indagine "Big Rock", fiumi di cocaina e soldi e 36 ordinanze di custodia cautelare. Tra i vertici del clan c'è anche chi si vantava con gli altri albanesi di nascondere nel bosco 500mila euro di "merce"

Uno dei pezzi “grossi” si era vantato con gli altri albanesi di nascondere nel bosco un quantitativo di droga corrispondente a 500mila euro. Un sodalizio criminale ben organizzato con i vertici al comando, fornitori, spacciatori e nuove reclute (“Stai attento al tuo lavoro, e cerca di imparare le cose”) dedito ad un giro di spaccio di cocaina per centinaia di migliaia di euro e che ha portato a 36 ordinanze di custodia cautelare in carcere.

L’indagine, denominata “Big Rock” coordinata dal Dda Antonella Duchini e condotta dalla squadra mobile di Perugia, è riuscita a smantellare un’ importante organizzazione presente sul nostro territorio, un sodalizio creato “al fine di porre una serie indeterminata di delitti di acquisto, detenzione, cessione di cocaina, con predisposizione di autovetture, telefoni cellulari non intestati agli indagati e luoghi (campagne) dove occultare quintali di coca e soldi". 

L’organizzazione, manteneva sul territorio una "rete capillare” di acquirenti e clienti- consumatori finali, nonché stabili collegamenti con i fornitori dello stupefacente, “funzionali alla operatività dell’organizzazione stessa”: Cardaku (detto Fabio) e Haili (detto Kriza) “con il ruolo di promotori e organizzatori”. Dal sostenere le spese per garantire la logistica del sodalizio, fino a pagare gli “stipendi” ai pusher, ai rapporti con gli acquirenti abituali e i fornitori, prediligendo chi “fa consegne a domicilio e tariffe concorrenziali”.

Scontri tra clan. Alcuni degli indagati avrebbero anche preso parte ad una rissa violenta, con tanto di ferimento da arma da taglio di uno dei coinvolti, poi trasportato all’ospedale di Arezzo nel 2014. L’indagine aveva mosso i suoi primi passi dalle dichiarazioni di una donna sudamericana alla squadra mobile di Perugia, sull’importazione di un certo quantitativo di droga all’interno di una scatola di scarpe per bambini.

Partirono così gli accertamenti per verificare l’esistenza di un traffico di stupefacenti dal Sud America all’Italia in cui erano coinvolti alcuni soggetti residenti a Perugia. Poi, l’individuazione di un filone albanese operante nel territorio, grazie ad un fitto e capillare lavoro di intercettazioni, pedinamenti e monitoraggi che aveva portato alla luce l’abitudine degli indagati nel nascondere la cocaina nella aperte campagne del perugino, consentendo così il recupero di “considerevoli” quantitativi di stupefacenti e soldi. 

Dalla intercettazioni era emerso come i pusher riuscivano a vendere fino a 200 dosi alla settimana “Non mi sono fermato un attimo, tutti i giorni al lavoro...entrare e uscire dal bosco.. " Ma c’è anche chi teme per la propria incolumità, con la possibilità che qualche connazionale (albanese, ndr) venisse a scoprire i loro nascondigli ed arrivi ad ucciderli per impossessarsi della droga: “Ti colpiscono e ti ammazzano (…) io non ho paura dello Stato, ho paura degli albanesi”. Ieri l’interrogatorio di alcuni degli indagati, difesi- tra gli altri- dagli avvocati Cristian Giorni, Daniela Paccoi, Guido Rondoni. 

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