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Cronaca

Barca sequestrata al prestanome, via libera della Cassazione alla confisca e alla vendita

L'acquisto del natante sarebbe avvenuto dietro versamento nel conto corrente di denaro contante come pagamento di prestazioni di consulenza

Il versamento di denaro contante sul conto corrente, quindi non tracciabile, era stato trasformato in assegni circolari per l’acquisto di una barca, ma per gli investigatori si sarebbe trattato di un modo per riciclare denaro. Il natante, quindi, era stato sequestrato. Adesso anche la Cassazione conferma la corretta dell’operato degli investigatori e convalida il sequestro ai fini della confisca e successiva vendita della barca.

A ricorrere in Cassazione era stato un professionista in qualità di “terzo proprietario” dell’imbarcazione, sostenendo che la confisca di prevenzione era illegittima, in quanto l’acquisto era stato fatto con il denaro, regolarmente fatturato per alcune prestazioni professionali. Per dimostrare ciò il ricorrente aveva depositato tutti i documenti attestanti la sua capacità reddituale “sufficiente a consentire l'acquisto dell'imbarcazione” ormeggiata a Civitavecchia.

Per la Corte d’appello di Perugia, e poi per la Cassazione, tale documentazione non sarebbe comunque idonea a superare il quadro delle risultanze dell’indagine. Cioè “che circa il 70% della provvista dei due assegni circolari utilizzati per il pagamento del corrispettivo dell'imbarcazione provenne da sette versamenti di denaro contante” sul conto corrente del professionista, non sarebbe tracciabile.

Non solo. Per la Corte era apparso alquanto inverosimile che l’ammontare delle fatture, pagate in contanti con versamento sul conto corrente, fosse identico alla somma versata per l’acquisto dell’imbarcazione.

A dimostrazione che la “provvista creata con sette versamenti di denaro contante” sarebbero stati solo la copertura per il possesso del natante da parte di altra persona che voleva, così, riciclare denaro e il ricorrente ne sarebbe stato il prestanome.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

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