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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Furti, rapine e inseguimenti: come agiva la banda "familiare" di ladri che ha terrorizzato Umbria e Toscana

Sono 16 gli indagati, 8 sottoposti a misure cautelari. In 12 avevano il reddito di cittadinanza

Una vita dedicata al crimine. Una famiglia intera, allargata a più generazioni, di italiani di etnia sinti, conosciuta dalle forze dell’ordine per furti, raggiri, rapine, traffici illeciti, aveva messo un una vera e propria banda che solo durante il lockdown ha conosciuto una battuta di arresto. Alla fine il personale del Commissariato di Assisi ha eseguito otto misure cautelari a carico di altrettante persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di furti in abitazione, perpetrati nella zona di Assisi e nelle province di Arezzo e Siena.

Complessivamente sono 16 le persone indagate, residenti nella zona tra Assisi e Cannara, 12 delle quali sono titolari di reddito di cittadinanza. Tutti gli indagati risultano già inquisiti in passato per reati contro il patrimonio.

La banda “familiare” è stata smantellata grazie alle indagini del Commissariato di Assisi, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, grazie anche ad intercettazioni, riprese video e accertamenti fiscali, permettendo di ricostruire la struttura del gruppo criminale, composto da soggetti legati tra loro da vincoli di parentela o affinità, tutti dimoranti nella stessa zona di Assisi. Nel corso delle indagini alcuni degli indagati sono stati fermati e identificati anche in altre operazioni condotte da Carabinieri e Guardia di finanza.

Al gruppo è contestato un vasto campionario di furti in abitazione, in aziende, raggiri di anziani nelle loro abitazioni. Compito, questo, affidato alle donne del gruppo, definite “senza scrupoli, scaltre e astute”. Le 6 donne del gruppo, la più piccola di 22 anni e la più grande di 40 anni, avrebbero un ruolo non secondario: alcune di loro compivano materialmente i furti, oppure si occupavano di scippi e e ruberie nelle abitazione, penetrando in casa con una scusa, dopo aver raggirato gli anziani soli, spacciandosi per venditrici di articoli vari o bisognose dei servizi igienici, mentre la complice svaligiava la casa.
Altre donne avevano, invece, compiti, potremmo dire, logistici, magari facendosi intestare un’auto da utilizzare per commettere i furti o trasportare la refurtiva fuori regione e portarla ad un ricettatore. Altre donne, infine, avevano il compito di custodire la refurtiva fino alla sistemazione sul mercato.

Nel corso di più di un anno di indagini i poliziotti sono riusciti ad arrestare in flagranza di reato alcuni dei componenti della banda subito dopo aver commesso il fatto, altre volte sono riusciti a recuperare la refurtiva e restituirla ai legittimi proprietari derubati anche dei loro ricordi più cari.

Gli uomini del sodalizio, invece, sono stati definiti “efferati e senza scrupoli”, tutti con un discreto curriculum criminale alla spalle, qualcuno in azione nonostante fosse soggetto a misure cautelari. Secondo gli investigatori erano “spietati e pericolosi” e non avevano timore di sfuggire con manovre spericolate, durante qualche inseguimento, alle forze dell’ordine, facilitati dal possesso di autovetture, spesso rubate, di grossa cilindrata. Ed è stato proprio al termine di un inseguimento molto pericoloso, che un’autovettura della Polizia è stata danneggiata dai ladri in fuga dopo aver commesso un furto. Forzando un posto di blocco, però, anche la vettura dei ladri si era danneggiata. Gli occupanti erano fuggiti per i campi, tranne il conducente che era rimasto ferito e arrestato.

Le autovetture venivano cambiate spesso, oppure venivano sostituite le targhe, per aggirare i controlli e sviare i sospetti.

Gli uomini del gruppo sarebbero “veri e propri professionisti del crimine”, che agiscono solo dopo aver effettuato più sopralluoghi per scegliere le abitazioni o le aziende da svaligiare, dopo aver ben controllato le abitudini dei proprietari. In genere abitazioni o attività isolate, raggiungibili attraverso strade sterrate con scarsi sistemi di sorveglianza.

Da professionisti quando effettuavano un colpo non portavano cellulari, per evitare di essere messi sul posto del colpo nel momento dell’avvio delle indagini: senza cellulare non si aggancia la cella più vicina dei ripetitori e non si può dimostrare che si era nei pressi dell’obiettivo.

Il sodalizio criminale aveva anche una base, dove fare le riunioni preparatorie ai colpi e depositare gli “arnesi del lavoro, come aste, bastoni, piedi di porco, guanti e altri indumenti per camuffarsi”. La base logistica, a volte, era a casa di qualche adepto che, trovandosi agli arresti domiciliari, non poteva partecipare ai colpi e, quindi, forniva un posto sicuro e vigilava sulle operazioni. Altri avevano il compito di fare da staffetta all’auto su cui viaggiavano i complici dopo aver perpetrato i furti, magari facendo di tutto per farsi fermare in caso di incrocio con qualche pattuglia per sviare l’attenzione dall’auto colma di bottino. Altri ancora dovevano custodire le autovetture utilizzate per la commissione dei furti, caricarvi e scaricarvi gli attrezzi da scasso, lavarle e nel caso, grazie ad un’officina nella zona industriale di Bastia Umbra, cambiarne anche colore; chi infine faceva da vedetta nella fase di rientro dei veicoli in zona.

Un’organizzazione così ben strutturata che, però, ha permesso ad investigatori e Procura di contestare agli indagati il delitto di associazione per delinquere, con grave rischio di reiterazione dei reati per “un gruppo familiare coeso e dedito alla commissione di delitti contro il patrimonio al fine di procurarsi sostentamento”.

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