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Cronaca

Fallimento Banca Etruria, la sentenza. Carlo Catanossi : "Dopo 7 anni di fango, sono stato assolto". E si toglie qualche sassolino

Il presidente di Grifo Latte, ex amministratore dell'istituto di credito, ha scritto un post su facebook dopo l'assoluzione in primo grado

"E così, dopo sette lunghi anni di fango, un tribunale dice che sono innocente. Il fatto non sussiste. Banca Etruria non è stata fatta fallire dai suoi amministratori. Almeno non dagli amministratori dell’ultimo consiglio.Almeno non da me. Non avevo dubbi": una sentenza che mette a riparo il lavoro di una vita e la dignità di uno dei manager-imprenditori agricoli più conosciuti dell'Umbria a livello nazionale, Carlo Catanossi, attuale presidente di Gruppo Grifo. Era finito nel mirino delle cronache nazionali, con tanto di sequestro di una parte dei beni, nell'affaire del fallimento di Banca Etruria. L'assoluzione riguarda il primo grado di giudizio.La Procura però ha ribadito che ricorrerà all'Appello. Duro Catanossi sulla bufera mediatica e politica che fino ad oggi ha offuscato informazione e giudizi: "Una serie di azioni volutamente costruite con una regia autorevole e precisa ha portato al disastro di cui tutti paghiamo ancora le conseguenze. Sono sereno perché, prima ancora che nella coscienza e nell’ultimo giorno, anch’io ho trovato un giudice a Berlino". 

Un riferimento chiaro ai nemici potentissimi dell'ex presidente Matteo Renzi e alla famiglia Boschi. Infine l'amarezza dell'uomo forte del Gruppo Grifo per la poca solidarietà umana ricevuta dopo gli avvisi di garanzia, rispetto alle tante richieste di aiuto quando era amministratore dell'istituto di credito: "Sono stato amministratore per soli nove mesi e in questo tempo sono passati per la mia casa ( il sabato e la domenica perché gli altri giorni lavoravo) molti soggetti ( soprattutto gualdesi ma non solo) a chiedere i più vari interventi per se stessi, per parenti, amici e benefattori. Molti più di quanti siano passati in sette anni a chiedere notizie, esprimere solidarietà, dare conforto". 

IL PROCESSO

I 14 imputati, tra cui anche Pier Luigi Boschi (babbo di Maria Elena, che all'epoca dei fatti era vicepresidente dell'istituto di credito aretino), erano accusati di aver agito in modo sconsiderato, affidando "consulenze inutili" e "ripetitive", per le quali la banca, che si trovava già in condizioni critiche, aveva sostenuto costi imponenti. Condotte che sarebbero costate loro l'accusa di bancarotta semplice. 

Le consulenze avrebbero pesato infatti per circa 4 milioni di euro. Erano incarichi affidati dall'istituto di credito a societa specializzate per valutare, analizzare e poi avviare il processo di fusione con un istituto di elevato standing per evitare il crac. A proporre lo scenario della fusione furono le autorità bancarie che avevano individuato in Banca Popolare di Vicenza il possibile partner dell'operazione. Le consulenze d'oro furono affidate comunque, ma nulla di quanto analizzato e valutato si concretizzò.

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