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Cronaca Assisi

Dipendente del Comune di Assisi licenziata per assenteismo, la Cassazione annulla per un vizio nel procedimento disciplinare

Rimessi gli atti alla Corte d'appello di Perugia per un nuovo giudizio. La donna era stata licenziata per 4 ore di lavoro non svolto. Prosciolta in sede penale e condannata a pagare 200 euro dalla Corte dei conti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della dipendente del Comune di Assisi licenziata per assenteismo.

Con la pronuncia del 27 dicembre si riapre la controversia che ha interessato un giudizio penale, uno del lavoro e la Corte dei conti.

“La dipendente del Comune di Assisi, dopo aver lavorato nel marzo del 2017 per quattro giorni per otto ore e mezzo consecutive senza neppure fermarsi per il pranzo era stata licenziata nel settembre 2017 per aver compilato nell’aprile 2017 un modulo, relativo a quei quattro giorni, che indicava un orario di uscita superiore a quello effettivo” precisa l’avvocato Siro Centofanti che ha difeso la donna.

L’importo netto delle quattro ore contestate ammonterebbe a 32 euro, ma la Procura regionale della Corte dei conti aveva chiesto una condanna al pagamento di 20mila euro. In tale sede l’avvocato Centofanti aveva sollevato la questione di costituzionalità “dell’articolo 1 del Decreto legislativo 20.06-2016 n. 116, che prevedeva un danno minimo non inferiore a 6 mensilità, e la questione, rimessa dalla Corte di contri dell’Umbria alla Corte Costotuzionale, era stata accolta per eccesso di delega”. La dipendente, quindi, aveva pagato 200 euro, invece di 20mila.

A livello penale, invece, la dipendente, difesa dagli avvocati Siro Centofanti ed Elena Ferrara, era stata prosciolta per particolare tenuità del fatto dal giudice per l’udienza preliminare Lidia Brutti. Sentenza confermata in appello.

La dipendente aveva anche impugnato il licenziamento, con l’avvocato Centofanti che aveva eccepito la nullità dell’atto in quanto deciso dalla stessa struttura per cui lavorava la donna, cioè il Comune di Assisi, violando il principio di terzietà del giudice.

In primo grado il giudice del Tribunale di Perugia aveva respinto l’eccezione, pur riconoscendo che il procedimento disciplinare non era stato seguito da un giudice terzo. In appello si riconosceva la fondatezza giuridica dell’eccezione, ma anche che il procedimento disciplinare era stato svolto da un dirigente diverso rispetto a quello dell’ufficio dove lavorava la dipendente.

La Cassazione ha accolto il ricorso giudicando “errati i criteri in base ai quali la Corte d’appello aveva individuato il capo della struttura in persona diversa dal dirigente che aveva svolto il procedimento disciplinare”, rinviando alla Corte d’appello di Perugia per una nuova disamina del caso, “con la ragionevole speranza della lavoratrice di ottenere l’annullamento del licenziamento e la ripresa del posto di lavoro” conclude l’avvocato Centofanti.

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