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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Caso Bianzino, sconto di pena al poliziotto che non chiamò i soccorsi dopo malore

Diede l'allarme, ma il poliziotto Gianluca Cantoro gli rispose di non rompere. Aldo Bianzino morì così nell'ottobre del 2007. Oggi, 16 aprile, la Corte d'Appello di Perugia si è espressa nuovamente

Venne accusato di omissione di soccorso e omissione di atti d'ufficio relativi alla morte di Aldo Bianzino, avvenuta all'interno del carcere di Perugia nell’ottobre del 2007. Oggi, 16 aprile, la Corte d'Appello di Perugia, dopo tre ore di camera di consiglio, si è espressa nuovamente, riducendo la pena per il poliziotto Gianluca Cantoro da 18 a 12 mesi.

Era stata proprio la difesa a fare ricorso in appello, considerando la sentenza “troppo pesante” e sottolineando il fatto che uno dei due reati poteva essere assorbito nell’altro, come effettivamente è successo oggi.

L’uomo si sentì male la notte tra il 13 e il 14 ottobre del 2007, chiamò il poliziotto Cantoro espletando il proprio malore, ma quest’ultimo, secondo l’accusa presentata da Mignini, decise di ignorare “la richiesta d’aiuto, non dando di fatto l’allarme”. Durante i vari interrogatori il sostituto procuratore generale ha dichiarato che Aldo Bianzino suonò il campanello poco dopo la mezzanotte.

Attimi di sconcerto per una storia che fa rabbrividire. Secondo infatti la ricostruzione effettuata dall’accusa  il detenuto diede una seconda volta l’allarme, ma l’agente della penitenziaria gli rispose di aspettare la mattina successiva e “di non rompere…”. Troppi i detenuti, secondo Mignini, che hanno dato la stessa versione, “confermando di fatto ciò che avvenne effettivamente quella sera. E non importa se la difesa sostiene i detenuti avessero dei contrasti con Cantoro, a tal punto abbiamo da testimoniare a suo sfavore, poiché coincidono troppi elementi”.

In aula presenti da questa mattina, anche i familiari, e il figlio della vittima che hanno seguito il processo in silenzio, ascoltando gli interventi dei difensori di parte civili e degli avvocati dell’imputato, Daniela Paccoi e Silvia Egidi. Proprio quest’ultime due hanno fatto leva sui referti medici, volendo così sfatare ogni dubbio e rimarcando, inoltre, l’astio dei detenuti nei confronti del loro assistito.

Ma c’è anche chi il caso lo vorrebbe far riaprire, nonostante il reato di omicidio venne archiviato  nel 2009, dopo che i medici legali constatar che la morte del detenuto era avvenuta una emorragia causata dalla rottura di un aneurisma. Ipotesi che al momento appare alquanto remota.

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