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Cronaca Assisi

Carlo Acutis, a dieci giorni dalla beatificazione aperta la tomba ad Assisi

Il corpo del giovane, sepolto nella città di San Francesco dove il 10 ottobre diventerà Beato, resterà visibile fino al 17

Carlo Acutis, l'omelia del vescovo Domenico Sorrentino:

Tra soli dieci giorni Carlo Acutis verrà iscritto nell’albo dei beati. Un albo che riflette sulla terra l’albo del cielo. In realtà, tra terra e cielo, la distanza è più breve di quella che si può immaginare. Cielo e terra si toccano. Si intrecciano. Dal punto di vista spirituale, si può vivere sulla terra abitati dal cielo.

Ce lo ricorda oggi la figura straordinaria di Santa Teresa di Lisieux, di cui facciamo memoria liturgica. Morendo anche lei in giovane età, si riprometteva di passare il suo cielo a gettare rose sulla terra. 
Ce lo ricorda il nostro Carlo, desideroso di cielo, al punto che nell’eucaristia aveva trovato la sua “autostrada” per il cielo. Oggi, quell’autostrada, egli la ripercorre, per così dire, nella direzione opposta, tornando in mezzo a noi con la gioia di un volto radioso, ormai da quasi quindici anni alla presenza diretta della luce di Dio, tra gli angeli e i santi.

Torna oggi anche con la visibilità delle sue spoglie mortali. Quel corpo che su questa terra è stato santificato dall’acqua del battesimo, segnato dal crisma della confermazione, alimentato dal corpo di Cristo, è un corpo benedetto, come lo è il corpo di tutti i battezzati, nella misura in cui restano fedeli all’amore di Dio.

Carlo è stato fedele a questo amore, scegliendolo come il “tutto” della sua vita. Ha consegnato questa scelta a un proposito breve come un twitt, ma bruciante come fuoco: “non io ma Dio”. Questa sua scelta ha bruciato la sua anima e il suo corpo. Oggi noi, dopo la Messa, lo rivedremo anche nel suo corpo mortale.

Un corpo che è passato, negli anni di sepoltura ad Assisi, attraverso il normale processo di decadimento, che è  retaggio della condizione umana dopo che il peccato l’ha allontanata da Dio, sorgente della vita. Ma questo corpo mortale è destinato alla risurrezione. Dio stesso, nella carne del suo Figlio morto e risorto, ci ha restituito il “link” per la vita che non tramonta.

Lo aveva già intuito, nell’Antico Testamento, il libro di Giobbe, che nella prima lettura ci ha fatto ascoltare il suo grido di dolore e di speranza: «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via senza la mia carne vedrò Dio». Questa intuizione è diventata certezza dopo la risurrezione di Gesù, per quanti si aggrappano a lui e fanno di lui la loro vita.

Il volto di Dio si irradia così sul volto dei santi. Illumina la nostra umanità redenta. Di qui, il rispetto che dobbiamo non solo alla memoria, ma anche ai resti corporei dei defunti. Rispetto che si colora di   venerazione, quando si tratta di reliquie di fratelli e sorelle che, per la santità eminente della loro vita, la Chiesa inserisce nella sua liturgia, per donarceli come intercessori e modelli di vita. È il caso di Carlo. Per questo motivo, dopo la celebrazione, aprirò la sua tomba, per rendere in queste settimane il suo corpo, ricomposto con arte e con amore, visibile a quanti si sentono legati alla sua figura, attratti dal suo esempio e desiderosi della sua intercessione.

Si rivedrà, in qualche modo, il suo volto terreno. Ma quel volto  - non lo dimentichiamo - ormai non addita se stesso, ma Dio. Proprio come ci diceva il salmo da poco recitato: «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!” Il tuo volto, Signore, io cerco».  Carlo si fa in qualche modo rivedere, per invitarci a cercare con lui il volto di Dio. Sulle orme di Francesco, che proprio in questo Santuario si spogliò di se stesso fino alla nudità, per conformarsi a Cristo, Carlo non chiede che la nostra attenzione si fermi a lui: egli è una voce, un invito, un collegamento. I nostri occhi, come i suoi, puntano a Dio. E proprio perché puntano a Dio, sono occhi che si fanno tenerezza per i fratelli, specie i più poveri.

Carlo è  passato in mezzo a noi come una meteora. Morto a soli quindici anni: quale disgrazia, e quale strazio per i suoi e per quanti gli volevano bene! Ma nei disegni di Dio, quella disgrazia nascondeva una grande grazia. Quella meteora ha lasciato una scia di luce che lo rende ancora vivo e operante in mezzo a noi. È stato mandato come uno dei discepoli dei quali ci ha parlato il Vangelo; quelli che avevano il compito di battistrada, per preparare la via a Gesù, ed erano mandati ad annunciare la pace:  “Pace a questa casa”. Inviati come agnelli in mezzo ai lupi, ma sapendo di essere i portavoce del buon Pastore.

Carlo ha avuto questa missione. L’ha avuta specialmente per i giovani, per i suoi coetanei di questo tempo così entusiasmante e, insieme, così disorientato. Un tempo dove si sperimentano cose meravigliose attraverso una tecnologia che unisce il mondo da un capo all’altro, ma che tante volte si fa tumulto di informazioni e messaggi contraddittori, nei quali è così difficile ritrovare la bussola della verità e dell’amore. Carlo è un ragazzo del nostro tempo. Un ragazzo dell’era internet, e un modello di santità dell’epoca digitale, come lo ha presentato papa Francesco nella sua lettera ai giovani di tutto il mondo. Il computer, con la sua mostra dei miracoli, è diventato il suo andare per le strade del mondo, come i primi discepoli di Gesù, a portare nei cuori e nelle case l’annuncio della pace vera, quella che placa la sete di infinito che abita il cuore umano. Quella dei giovani che vogliono davvero vivere da “originali” e non diventare fotocopie delle mode effimere.

Carlo ci parla di eterno. Mentre ci prepariamo alla sua beatificazione, ci lasciamo ispirare anche dalla venerazione del suo corpo a non accontentarci di ciò che passa, e a scoccare verso l’infinito la freccia della nostra vita.

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