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Cronaca

Caso Shalabayeva, il super poliziotto Cortese: "Meritavo più rispetto"

Dichiarazioni spontanee dell'ex capo della Mobile di Roma a processo per l'espulsione della donna

"L’unico stato d’animo che intendo portare all’attenzione della Corte è quello suscitato in me dall’affermazione della sentenza con la quale avrei tradito un giuramento fatto sulla Costituzione. Tutte le sentenze meritano rispetto e io rispetto anche la sentenza che, seppur ingiustamente, mi ha condannato. Però credo che tutta la mia vita e tutta la mia carriera forse avrebbe meritato un minimo di rispetto”. Lo ha sostenuto Renato Cortese nel corso di dichiarazioni spontanee nel processo d’Appello relativo all’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua avvenuta nel 2013 che lo vede imputato insieme ad altre sei persone. All'epoca dei fatti Cortese, che catturò Bernardo Provenzano, era capo della squadra mobile di Roma.

La procura generale di Perugia nell’udienza del 14 aprile scorso ha sollecitato una condanna a quattro anni per sequestro di persona per lui, per Maurizio Improta e per i poliziotti Francesco Stampacchia e Luca Armeni. Due anni e otto mesi la richiesta invece per Vincenzo Tramma con il riconoscimento delle attenuanti generiche. La Procura generale aveva, invece, chiesto l'assoluzione per il poliziotto Stefano Leoni e per il giudice di pace Stefania Lavore “perche’ il fatto non costituisce reato”. Non luogo a procedere per intervenuta prescrizione era stata chiesta per le contestazioni di falso.

"Per me è una pagina di profonda ingiustizia. E quella sentenza che è stata pronunciata nel nome del popolo italiano non è stata emessa nel mio nome né in quello di tanti uomini: Renato Cortese è il poliziotto che ha catturato i boss mafiosi come Brusca e Provenzano, che quando ha lasciato la questura di Palermo è stato applaudito per il suo lavoro”. Così l’avvocato Ester Molinaro, difensore con il professor Franco Coppi, di Renato Cortese, rivolta ai giudici della Corte d'appello di Perugia.

“Tra qualche giorno ricorre l’anniversario della strage di Capaci, se ne parlerà nelle scuole, in eventi pubblici. Dietro a uomini come Falcone ci sono uomini come Renato Cortese. Quello che lascia perplessi è che la procura generale per un uomo come Cortese non abbia chiesto nemmeno le attenuanti generiche. Alma Shalabayeva non aveva nessuno status di rifugiata. L’elemento che ha creato confusione è che lo status di rifugiato del marito non era noto a nessuno. E lei non aveva mai chiesto l’asilo politico”, ha sottolineato la penalista chiedendo al termine dell’arringa l’assoluzione per Cortese. 

 “Tutte le sentenze vanno rispettate, anche quelle che non condividiamo. E tutti ci siamo attenuti a questi insegnamenti ma credo che ci sia consentito dire che - ha aggiunto il professor Coppi - anche gli imputati meritano rispetto. Non ci vogliamo nascondere dietro alla carriera di Cortese. Nella sentenza si parla di un crimine contro l’umanità fatto da funzionari di polizia. Accusare Cortese di asservimento, di tradimento può essere giustificato solo se si abbia raggiunto la prova sicura, certa di una complicità piena tra Cortese e le autorità del Kazakistan. Soltanto così si potrebbe affermare che a un certo punto ha rinnegato se stesso compiendo il reato per cui è stato condannato. Per le congetture non c’è posto nel processo penale. Pensare che Cortese improvvisamente diventi il braccio armato e da solo abbia deciso di asservirsi al Kazakistan pare assurdo”.

Quanto sostenuto dalla sentenza “fa acqua da tutte le parti e quel passaporto era palesemente falso. Un dato che rendeva inevitabile l’intervento dell’ufficio immigrazione. Perché non è stato chiesto l’asilo politico? A questi interrogativi non sta noi rispondere ma sta di fatto che quelle erano false generalità. Alla base di tutto c’è la falsità di quel documento. L’innocenza del dottor Cortese a me appare chiara”, ha concluso Coppi. 

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