INVIATO CITTADINO “Quando accompagnammo mio cugino Alfio per l’ultimo viaggio”
Carlo Pagnotta ricorda il grande musicista perugino, a dieci anni dalla scomparsa
“Quando accompagnammo mio cugino Alfio all’ultimo viaggio”. Carlo Pagnotta ricorda il grande musicista perugino, a dieci anni dalla scomparsa. È l’inizio di August in Jazz e ci pare l’occasione opportuna per proporre l’esito di questa chiacchierata col fondatore e direttore artistico di U.J.
L’Inviato Cittadino ha commemorato le opere e i giorni del grande musicista su PerugiaToday, unico giornale ad onorare il nome e la memoria di Alfio Galigani.
Carlo Pagnotta, di nove anni più giovane, non nega che la passione del cugino Alfio abbia inciso profondamente nella formazione della propria personalità, orientandone di certo le predilezioni musicali.
Ricorda la grande passione di Alfio, delineatasi fin da quando, giovane collaboratore del padre, Furio Pagnotta, che gestiva il Perugia Club in corso Vannucci, studiava e si esercitava in un buco, al primo piano di quel palazzo al corso.
“Erano gli anni Trenta. Lo vedevo affacciarsi, appoggiare il clarinetto su quella finestrina e, appena aveva un momento libero, lanciare verso il cielo le sue note che aspiravano all’infinito”, rammenta Carlo.
Ricorda la formazione e i successi di Alfio, negli anni Quaranta, a livello locale (il rapporto con Carlo Alberto Belloni e altri musicisti), poi il passaggio con l’orchestra di Armando Trovajoli (c’era Basso Valdambrini e il meglio dei talenti nazionali), quindi la Rai e tante collaborazioni col gotha dei musicisti internazionali.
Il discorso, in tema di anniversari, cade inevitabilmente su quel tragico 7 luglio 2010, quando Alfio, a Roma, spiccò il volo verso l’eternità: una stella in più nel firmamento dei grandi musicisti.
“Eravamo sotto Umbria Jazz. Il 9 luglio, arrivò il carro – racconta Carlo – verso le 11:30. Lo attendemmo sopra la Sala del Commiato, a Monterone, con una Street Band di New Orleans che lo accompagnò sul posto. Celebrammo un funerale di quelli tradizionali, coi fiati che stendevano un tappeto musicale gioioso, come forse Alfio avrebbe voluto”.
Dopo anni di successi, Alfio Galigani aveva sofferto per quella atipica sordità bilaterale che gli aveva fatto perdere il filo del discorso musicale, impedendo (proprio a lui!) di discernere i suoni, che riceveva impastati e confusi. Malgrado tutto, continuava a suonicchiare, da solo. Ma, ci scappava qualche inevitabile scivolata. Una volta dichiarò: “Ho pianto tanto”.
Prosegue nei nitidissimi ricordi di quel triste giorno Carlo Pagnotta: “Un gruppo di musicisti locali, amici coi quali Alfio aveva tante volte suonato, lo attendeva presso la Sala del Commiato e suonò con passione e affetto, le lacrime agli occhi, il cuore in subbuglio. Eravamo attanagliati dal dolore, ma intimamente sereni. Forza della musica!”.
“Poi l’inumazione. Qui il terzo evento musicale: quattro sax suonavano mentre venivano interrati i suoi resti mortali. Un autentico slalom sul pentagramma. Momenti di intensa commozione, omaggi e cascate di note che Alfio avrebbe certamente apprezzato”.
Alfio oggi riposa alla sommità del Parco delle Rimembranze. In una zona retrostante l’Altare della Patria. La sua Perugia dovrebbe ricordarlo con onore. Qualcuno forse se n’è dimenticato, per effetto del tempus edax rerum: tempo divoratore di uomini, di cose e di memorie.
La sua pietra tombale porta un’immagine che lo ritrae impegnato al clarinetto. Una scritta riferisce una battuta, un’esortazione pronunciata dal grande vibrafonista Lionel Hampton “Alfio, keep swinging”.
Epigrafe che ne delinea efficacemente lo spirito e la vocazione. Ciao Alfio, perugino grandissimo, ricco di talento e umanità. Continua ad ondeggiare, fra le nuvole, al suono del tuo strumento che ti ha dato gioia e amicizie. Noi non ti scorderemo.