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Achille Bertini Calosso, l'uomo che tanto ha fatto per Perugia e per salvare dalla distruzione opere e monumenti

Bertini Calosso riuscì a far sminare i Tre Archi, la Chiesa di San Giuseppe, beni storici e culturali che possiamo oggi ammirare, grazie a quell’opera ardita e discreta di un uomo che amò e difese l’arte in ogni sua forma

Achille Bertini Calosso… chi era costui? Un personaggio che tanto ha fatto per la regione Umbria e per Perugia. Specialmente la Vetusta dovrebbe ottemperare a un debito di riconoscenza. Ma non lo ha fatto… almeno per ora.

“In veste di Soprintendente ai Monumenti e alle Gallerie dell’Umbria (1926-1948) – ci ricorda Edoarda Belletti, il cui padre, Germano, fu amico del Bertini – incrementò e fece restaurare e conservare il nostro patrimonio artistico”. Qualche esempio? Il restauro degli affreschi di Giotto in Assisi, quelli di Luca Signorelli a Orvieto, il Perugino al Collegio del Cambio, il ripristino della Fontana Maggiore. Non ultimo dei meriti, quello di aver dato vita e iniziative alla Deputazione di Storia Patria per l’Umbria.

Ma ci sono atti addirittura eroici e comportamenti commendevoli assunti da quest’uomo nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale. Racconta Mario Bellucci delle incursioni aeree su Ponte San Giovanni e dei bombardamenti sull’aeroporto di S. Egidio. Poi le scaramucce fra le avanzanti autoblinde dell’Ottava Armata e i tedeschi che minano edifici del Centro Storico, alcuni vicino al Crocevia.

Il pomeriggio del 19 giugno viene fatta saltare l’Officina elettrica di viale Indipendenza e i tre palazzi ad angolo del Crocevia. Con gli Alleati alle porte della città, salta il cavalcavia di via Cesare Battisti, sopra via Appia, e si minano i Tre Archi e la Chiesa di San Giuseppe o “Commenda della Santa Croce”. In questo clima frenetico di odio e di smobilitazione, Achille Bertini Calosso si reca al comando tedesco e intavola trattative per scongiurare lo scempio. Rischiando la pelle.

Bertini Calosso riuscì a far sminare i Tre Archi, la Chiesa di San Giuseppe, beni storici e culturali che possiamo oggi ammirare, grazie a quell’opera ardita e discreta di un uomo che amò e difese l’arte in ogni sua forma. La signora Edoarda Belletti, figlia del ceramista faentino Germano (che tante opere d’arte ha lasciato in città, come la Maestà delle Volte) chiese qualche anno fa l’intitolazione di una strada o piazza all’illustre personaggio, ma non ottenne risposta. Sono maturi i tempi perché la proposta venga oggi presa in considerazione e accolta. Se la parola riconoscenza ha ancora un senso, fra i travertini della città d’Euliste.

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