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INVIATO CITTADINO Lo Stabile non sbaglia un colpo, tocca a “Le affinità elettive” di Goethe

Grande prima al Cucinelli della nuova produzione del Teatro Stabile dell’Umbria che si affida, ancora una volta, alla maestria registica di Andrea Baracco per la messa in scena di un grande classico dell’Ottocento, riscritto, e sceneggiato, da Maria Teresa Berardinelli

Lo Stabile non sbaglia un colpo. Prosegue la presentazione dei classici voltati in drammaturgia. Dopo “Il maestro e Margherita”, stavolta tocca a “Le affinità elettive” di Goethe.

Grande prima al Cucinelli della nuova produzione del Teatro Stabile dell’Umbria che si affida, ancora una volta, alla maestria registica di Andrea Baracco per la messa in scena di un grande classico dell’Ottocento, riscritto, e sceneggiato, da Maria Teresa Berardinelli.

Grande successo per questo lavoro, assecondato dagli attori Elena Arvigo, Silvia D’Amico, Denis Fasolo, Gabriele Portoghese, Carolina Balucani (qui anche in veste di aiuto-regista) e Oskar Winiarski.

Una tragedia d’antan che si attaglia perfettamente alla sensibilità contemporanea: tradimenti che non vengono più visti come tali, se sulla logica del consumismo prevale la pulsione del sentimento vero.

Il titolo goethiano si è talmente letterarizzato fin quasi a perdere la connotazione scientifica originaria, afferente al mondo della chimica. Ma è la chimica dei sentimenti ad avvolgere l’azione dei protagonisti, assediati da sensi di colpa che finiscono col sopraffarli. È la rottura degli equilibri che genera colpevolizzazione, ma anche esaltazione.

Nella pièce tutto funziona. E specialmente le scene (di Marta Crisolini Malatesta), semplici e funzionali: modulari, come oggi si dice. Ossia, dotate di grande versatilità e mosse dagli stessi attori. Geniale l’idea di utilizzare lo stesso oggetto a significare la barca, la culla, la bara. Una suggestione non formale, ma che si radica intimamente col senso della diegesi drammaturgica. Tecnica e tempi perfetti, dinamica fluida: segno di un prodotto perfettamente oliato.

Non una banale trasposizione, quella della Belardinelli e di Baracco, ma un’operazione artistica e culturale di robusta qualità.

Niente intenti pedagogici, s’intende, ma teatro che, semplicemente, racconta l’esistenza e le pulsioni degli individui. Attiva riflessione dell’uomo su se stesso. Perché teatro è vita che non deve preoccuparsi della menzogna. Perché, sopra quelle tavole, la finzione diviene verità. Capacità di misurarsi. Soprattutto con se stessi.

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