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Martedì, 16 Aprile 2024
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SCHEGGE di Antonio Carlo Ponti | Bravo Sergio! Non li hai bacchettati ma gliel’hai cantate eccome!

Così si fa, carissimo Sergio. Uno che pregustava la serenità placida della pensione viene strattonato per la giacchetta al grido: «Gigante pensaci tu!». Ricordate o voi oltre le sessanta primavere lo spot Ferrero con il cattivo Jo Condor che le buscava sempre? Jo Condor è la politica nazionale stremata non dalla pandemia ma da ischemie rissose con coazione a ripetere che la mandano in tilt, inerte fra scudi di bottega, ossia il terrore delle elezioni anticipate con perdita di pensione e di membri destinati all’oblio, diatribe sovente di lana caprina, ridicole, suicide, immemori dei disagi della gente, dei populismi invadenti e deliranti, del rincaro delle bollette, dell’inflazione coi carrelli della spesa scoscesi, dei ritardi nei progetti del “pnrr” pena i quattrini europei che non arriverebbero. 

E “questi qua” – come li chiama Filippo Ceccarelli nel suo inimitabile e tragicomico “Invano” – giocosamente a ballare come sul Titanic. Caro Sergio, in mezz’ora, con
pacatezza, eleganza, intelligenza, garbo, bonomia, evangelica comprensione, hai spiegato che se non fileranno in riga e a braccia conserte (onde evitare caos e sbracciate) tu te ne vai, sei in croce ma senza chiodi. E li lasci in braghe di tela, peccato che ci andiamo di mezzo anche nosotros. E hai elencato tutto, il
bene e il male, sulla lavagna hai scritto il nome dei buoni e dei cattivi, fra i buoni forse hai dimenticato solo i vigili del fuoco, e così i cattivi, una lista ahinoi lunga, soffermandoti come capo della magistratura sullo spettacolo squallido di taluno, sulle morti bianche, sui muliericidi, sulle donne discriminate e sui giovani in cerca di un ubi consistam, sui disabili che non sono soccorsi, sui vecchi che non sono merce scaduta come uno yogurt dunque da buttare. 

Hai toccato tutto lo scibile afferente una democrazia rappresentativa, moderna e ordinata, uno stato efficiente e razionale senza ladrocini e disordini, una comunità unita e consapevole, una nazione sì «una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor», come auspicava Alessandro Manzoni, ma nel 1821, ma che oggi dev’essere aperta, accogliente, non razzista o antisemita o antirom, ma più che tollerante – concetto ambiguo – in toto europea, nata sulla civiltà mediterranea, non sulle ceneri e sulle macerie dei conflitti e dei massacri. Due le partole chiave: dignità ripetuta come un tormentone 18 volte perché l’aula talvolta è sorda e grigia ai gridi di aiuto della gente, e hai ricevuto per ben 55 volte (un primato che io leggo non del tutto politicamente etico ma sospiro di sollievo e alibi, da parte pensa te di legislatori che votano in segreto Altobelli o la sora Rosa); e la parola disuguaglianza (i ricchi sempre più ricchi e i  poveri sempre più poveri). 

Queste le due vere bacchettate ripagate con applausi e osanna, ipocriti e coreografici. Caro Sergio, non li perdere mai di vista, stagli dal Colle col fiato sul collo. Caro Sergio, e poi dice i democristiani! Caro Sergio, perdona la retorica di un vecchio rètore onesto, ma sarà bello averti accanto per altri sette anni, nel mio caso in particolare sempre a Dio piacendo. Grazie di esserci. E salutami l’eccellente premier Mario che ha fare l’Italia come la vuole l’Europa. E gli Italiani. Ora siamo italiani. Anzi taliani. Ahimè. Ahinoi.

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