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Schegge di Antonio Carlo Ponti | Leggere, leggere, leggere... ovunque!

Leggere, scrivere… e far di conto. Q. b. per essere alfabeta, non dover fare una croce davanti a due testimoni. Ma anche un analfabeta di ritorno non è un bello spettacolo se gli chiedi di leggere uno “scritto corsaro” di Pier Paolo Pasolini o un elzeviro di Leonardo Sciascia (di cui ricorre in questo appena nato 2021 il centenario della nascita). Ma siamo sicuri di certi laureati? Non ci capacitiamo della fortuna di poter comunicare, scritto o orale, noi che “ciabbiamo le scole” come si diceva a Bevagna che è per chi non lo sapesse la mia piccola patria. Io in lettura mi do un nove più, in scrittura un settemeno e in aritmetica un quattro. Forse è per questo che non ho pingui conti correnti né in Italia né nei paradisi fiscali. 

Io non riesco a leggere un libro alla volta, come credo facciano le persone normali che hanno il vizio impunito e indecente della lettura. No, il vostro costruttore (parola mattarelliana alla moda!) di frammenti fatti di parole, ne legge o fa finta di leggere una manciata di tomi in contemporanea, in una sorta di furor agonisticus con la pagina stampata. Un libro nello studio, uno nel salottino, uno in soggiorno, due sul comodino, uno nel “loco comodo”; così non è raro che confonda un pensiero di A con quello di B, ma siate cortesi, non è uno scelerus o un vulnus. 

Scommetto che taluno dei miei lettori è – uso l’indicativo – curioso di conoscere titoli e autori, e io che sono generoso e nel contempo un goffo narciso soddisfo il loro desiderio di conoscere. Come livre de chevet (da capezzale) è in trono la “Commedia” di Dante, giacché un canto al giorno toglie il medico di torno. Così come “Amleto” o i “Canti” di Giacomino Leopardi andrebbero delibati una volta l’anno valevoli come una settimana in una spa. Sto rileggendo a trenta pagine al dì “I promessi sposi”: un mondo. Mi è arrivato per posta, causa covid, l’ultimo (pregevole) lavoro di Roberto Segatori: “Religione e santi in Umbria”, una serie avvincente di saggi intorno alla spiritualità e alla religiosità, meditati e scritti da un sociologo della politica non immune da curiosità trascendenti e metafisiche. 

In Wikipedia nasconde colpevolmente di essere originario di Cantalupo di Bevagna; quasi quasi lo licenzio da caporedattore del “Grande Dizionario di Bevagna”. Ho appena iniziato “C’era una volta Andreotti” di Massimo Franco, talvolta sono attirato dal Diavolo (o dal Divo): di certo un personaggio storico inquietante e affascinante. Ho divorato l’ultimo Giampiero Mughini: “Nuovo dizionario sentimentale”, una raccolta di memorie e di pamphlet, d’interviste e di mea culpa, di j’accuse pepati e pieni di dolore. Certo, chi lo ha visto o lo vede nei talk televisivi ne ammira l’intelligenza ma teme di non capire il suo look o il suo eloquio raffinato. Sappia che da vent’anni, da quando si licenziò da “Panorama” dopo 19 anni di lavoro in redazione, perché trattato da furbetto per una nota spese di 180 euro, non trovò più collaborazioni e le televisioni divennero i suoi pane e companatico. 

Nel libro c’è una intervista strepitosa a Leonardo Sciascia. Mughini: «Quanti libri hai adesso?». Sciascia: «Credo averne 15 mila, forse 20 mila. La casa ne è sommersa. Ho deciso di regalarne una parte alla biblioteca comunale di Racalmuto, il mio paese». Mughini: «Dar via i propri libri è un po’ morire». Sciascia: «Sì, è un po’ cominciare a morire». Quanto è vero, invecchiando incomincia un sentimento d’insofferenza per la grande quantità di libri accumulati. Me ne parlò una sera il poeta Cesare Vivaldi a cena nella sublime villa – sita sotto la Rocca d’Assisi – della moglie Adriana Brizi Settimj, e ricordo che Nerina ne rimase assai turbata. Segue nel bel libro un’auto intervista dove Mughini si toglie numerosi sassolini dai calzari. 

Chiudono quattro pagine dure di ricordi sui rimorsi e la vergogna verso sua madre per non aver saputo trovare parole davanti alla sua perdita della parola. «Madre, madre mia, che avrei dovuto fare per te, che avrei potuto fare per te che non parlavi più? Quali gesti avrei potuto compiere ad alleviare la tua agonia?»

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