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SCHEGGE di Antonio Carlo Ponti | Latineggiando, con destrezza?

“Si vis pacem para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra, io traduco sta’ pronto alla guerra) trovo in un libriccino delizioso edito da Demetra nel 2012 che mi spunta da dietro i tre tomi di “Opere” di Søren Kierkegaard – appena sfogliati ma lessi “Aut Aut nella Bur secoli fa – a cura di padre Cornelio Fabro (1911-1995), stimmatino, professore ordinario di filosofia a Perugia, tradotte (2.000 pp.) dal danese. Il libriccino s’intitola “Carpe diem. Le più belle citazioni latine” ed è un invito a cogliere l’attimo, come il Faust di Goethe quando esclama, pieno di nostalgia per i momenti felici: fermati attimo, sei bello! Apro a caso e trovo un Orazio: ira furor brevis est, l’ira è una breve follia, un raptus, mentre l’odio è il male che cova e genera la persecuzione che hanno conosciuto le miglia di donne fatte oggetto di violenza e vengono sempre di più trucidate (l’ho uccisa perché l’amavo).

Posso non cercare il mio Giovenale? Uno senza peli sulla lingua come il mio Gaio Fratini sul qual poeta lirico e satirico sta per uscire a stampa il mio faticato libro? Difficile est satiram non scribere, come si fa a non colpire a morte tutto il ridicolo e tutto il marcio del mondo? Crescit amor nummi, quantum ipsa pecunia crevit, più cresce la ricchezza più cresce l’amore per il denaro. Tanto pecunia non olet, i soldi mica puzzano. E Romae omnia cum pretio, a Roma tutto ha un prezzo e chi sorveglierà i custodi addetti, quis custodiet ipsos custodes? A me il latino mi fa impazzire, oggi che son vecchio, e invece l’ho studiato da sette-otto, mentre il mio compagno di classe al Mariotti Sergio Santucci (1836-2002) era bravissimo in tutto, infatti entrò alla Normale di Pisa e divenne un prof di fisica coi fiocchi. 

Ma Gianfranco Maddoli che è stato sindaco di Perugia alla maturità tradusse la versione di greco in latino e mi ha regalato un numero della rivista “Mantinea” interamente scritta in latino e il cui editoriale ha questo incipit: Quanto perfundar gaudio, benevolentissime lector… beh forse sono un po’ strani, l’amico poeta e latinista Alessandro Fo non ci scrive. A costo di scatenare le donne e Lilli Gruber e Michela Murgia che avrebbe ragione a dirmi stai zitto, cito di Calpurnio Siculo (nomen omen) questa massima machista disgustosa: Femina mobilior ventis, che nella sublime brevitas della lingua un tempo lingua d’Europa significa che la donna è più variabile dei venti, insomma è mobile qual piuma al vento, parola per
di Piave e Verdi, e non solo è muta d’accento e di pensiero. E quel tombeur di Puccini, con la connivenza dei librettisti Illica e Giacosa, non dipinge Butterfly come una mogliettina che olezza di verbena? Un oggetto esotico. Ma omnia munda mundis, tutto è puro per i puri, ma non è così per quel bel tomo di Lutero che in una lettera Melantone esorta: pecca fortiter, sed fortius fide et gaude in Christo; pecca fortemente, ma ancor più fortemente confida e gioisci in Cristo, che è dire: l’unica possibilità per gli umani, inevitabilmente peccatori, è affidarsi alla fede in Cristo. 

Qui, mi dispiace mio caro san Bernardo, io dissento quando dici: o beata solitudo sola beatitudo. E ha ragione Virgilio (“Eneide”) che nullius agentis dies longus est, nessun giorno è lungo per chi lavora. Io, nel mio piccolo eremo di libri e di quadri e di sculture seguo la massima di Apelle riferita da Plinio il Vecchio: nulla dies sine linea, mai poltrirsi come Oblomov steso sul divano a districarsi i diti come un pavido untuoso Fantozzi. Almeno un disegno al giorno, un vaso al giorno, una pizza al girono, una preghiera al giorno. E poi noi vecchi che ci siamo vaccinati 2 volte con Pfizer per morire un po’ più tardi o vivere un po’ di più, orsù esercitiamo agguerriti la memoria che minuitur nisi eam exerceas (Cicerone), essa se ne va fuggendo se non la si smuove, se non la si agita come i liquori dentro lo shaker, e come? che so con un giornale, con un bugiardino, con Google, con un ricordo, con un rimpianto, perfino con un rimorso; e invece a Monte Grillo davanti alla bella chiesa di San Giovanni Apostolo del 2007, architetto Paolo Zermani, tutti i vaccinandi a fissare il vuoto. Comunque, latino o no, avquest’ora di notte mentre Cannella se la dorme beata acciambellata sulla poltrona accanto mentre scrivo ’ste farfalle acuminate, la più bella massima mi sa quella di Seneca: Si vis amari ama. Ama se vuoi essere amato.

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