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Schegge di Antonio Carlo Ponti | Parlar di morte un po’ scherzando...


Una strage? a me sembra di sì. 19 regioni con morti 99.000+Umbria morti 1.000= Italia 100.000. Mettete in fila 100.000 bare ciascuna lunga 2 m. e fanno 200.000 m. pari a 200 km, la distanza tra Umbertide e Ostia più o meno. Calcolo blasfemo freddo e impudente? Sì certo. Ma il paradosso e l’iperbole beffardi e insensibili al contrario sono colmi di umana consonanza, troppo mi ha turbato la morte di Carmen e Lucio Manna, i primi e fino a oggi i soli grazie a Dio tra glia amici a sparire nei gorghi della “peste” che ci tormenta i giorni, così simile a quella raccontata nelle pagine che so di Boccaccio, Daniel Defoe, Manzoni, Albert Camus, Philip Roth la poliomielite nel suo deludente ultimo romanzo “Nemesi”. 

Ma forse quando la morte bussa così arrogante alle porte della vita, e la paura attanaglia le nostre anime, è bene perfino scherzarci un po’ su, tanto scrive Alessandro Piperno nella prefazione a una nuova edizione della “Peste” di Camus – mentre con una forte allegoria la paragona come
corrispettivo biologico del morbo che minaccia ogni democrazia ossia l’autoritarismo totalitario. Si domanda lo scrittore: quale lezione trarre dalla peste (o dal covid-19)? Che cosa ci ha insegnato? A cosa è servita? A un bel niente.

Un quesito-sentenza speriamo non inappellabile, altrimenti c’è da disperare del futuro, ma se si va al pensiero alla terra travolta dai rifiuti e dal gas serra e dal cambiamento climatico e dal co 2 e non si fa niente max entro il 2030 altro che pandemie per i nostri nipoti di età di dieci-vent’anni, senza contare le loro pensioni da fame se le avranno. Voglio scientemente usare una metafora frusta: siamo i passeggeri che ballano sul Titanic mentre la nave s’inabissa. Però rallegriamoci: ci sono stuoli di virologi epidemiologi batteriologi biologi farmacologi infettivologi da mane a sera e a tutte l’ore abbracciati come edere al tronco o abbarbicati come agavi allo scoglio, vestali che come angeli custodi o meglio grilli parlanti ci dicono la loro, beati di fronte alla telecamera, in case disadorne o kitsch o davanti a scaffali opimi di libri (scherzo: chissà se mai sfogliati). 

Io gli voglio bene a Massimo Galli (il Migliore come Palmiro Togliatti) o a Ilaria Capua (che ha studiato sembra a Perugia), ad Andrea Crisanti e a Luca Richeldi, a Franco Locatelli e a Roberto Burioni, ad Alberto Zangrillo (fido scudiero clinico di Silvio Berlusconi) e a Fabrizio Pregliasco, Silvio Brusaferro, Matteo Bassetti, Walter Ricciardi, Giorgio Palù. Ripeto: sono tutti nel mio cuore. Ciascuno con la sua verità.Ma nell’elenco
ricavato da Google manca la mia preferita, sono uno sconcio maschilista lo so e non dovrei il giorno dopo l’8 Marzo dire che è anche bella. Ella è assidua ospite di Lilli Gruber e parla con una seducente propensione al rotacismo, sinonimo di erre alla francese o erre moscia. Inoltre firma sulla prima pagina del “Corriere della Sera, immagino la faccia di tanti colleghi che non vedranno mai la luce in fondo al tunnel di carta. 

Ma voi vedete come con un’inversione a U si possa cominciare un pezzo di giornale con una montagna di morti per finire a parlare di eterno femminino e di difetti di pronuncia. Privilegio di taluni cronisti screanzati. Non dico quali.


 

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