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Quest’anno – causa covid – niente liturgia e solo benedizioni individuali alla chiesa di Sant’Antonio abate

Corso Bersaglieri, per la festa del santo nessuna delle numerose iniziative, solo benedizione degli animali… e senza affollamenti

Quest’anno – causa covid – niente liturgia e solo benedizioni individuali alla chiesa di Sant’Antonio abate in corso Bersaglieri.

Niente animali a go-go al Borgo Sant’Antonio, il 17, per la festa del santo col porcellino, nessuna delle numerose iniziative, dalle mostre d’arte al cibo di strada, dalla musica, all’animazione e all’agility dog. Solo benedizione degli animali… e senza affollamenti.

Si potrà toccare il porcellino di pietra, collocato sopra il rocchio di colonna romana (l’anno scorso fu lanciato il “selfie col maialino” e riscosse ampio successo), con qualche offerta per la chiesa. Se vi va.

Si dice che toccargli una certa parte porti bene. Chissà se è vero. Comunque lo si può fare a costo zero. Come si dice: non è vero ma ci credo. Ci hanno creduto “in saecula saeculorum”, come si desume vedendo la rozza scultura assai consumata.

L’origine di questa fidelizzazione dell’onesto suino col santo eremita pare riconducibile a due motivazioni.

La prima si lega al famoso “fuoco” (patologia dovuta al virus “herpes zoster”), dolorosissima ustione che tormenta il dorso, il tronco e perfino il viso. E come si lenivano questi tormenti?

Strusciandoci le cotiche del maiale, che interponevano uno strato di grasso fra la cute dolorante e gli indumenti, con un effetto lenitivo per l’isolamento della pelle.

La seconda ragione è legata alla convinzione che il maialino simboleggiasse il demonio tentatore, con le fiamme infernali ad assumere seducenti forme femminili, e a provocare dolore.

Un tempo, quando il prete veniva a benedire le bestie nella stalla (ricevendo offerte in natura, soldi… non ce n’erano) si cantava questa canzone, ripetuta anche a Gubbio dai Santantognari. Ci si rivolgeva alla statua lignea, come quella presso la chiesa di S. Antonio abate (restaurata da Giovanni Manuali a cura dei borgaroli), invocandone la protezione.

Il motivo era intitolato “Sant’Antognin de legno”, cui si chiedeva di benedire “la vacca col vitello / la pecora e l’agnello / la majala co’ i majaletti / e la somèra”. Finale seguito d un sonoro verso “j-ò”.

Il ricordo di Beppe. La suonava e la cantava da Maestro (talvolta accompagnato dalle percussioni di Marcello Ramadori) l’indimenticabile amico Giuseppe Fioroni, pittore, artista e profondo conoscitore di antropologia rurale.

Una festa, insomma, inevitabilmente in tono minore. Ma tocca fare di necessità virtù, contentandosi di far benedire le bestiole da compagnia. Che non si ammalino. Almeno loro.

Un detto popolare riferito agli uomini recita: “Ddio li fa e Santantognìn l’acòppia” (vedi il disegno di Marco Vergoni) a significare che il santo è pronubo anche con gli umani. E che perfino i brutti hanno dal santo il dono di poter trovare l’anima gemella. Sarà un bene.

Festa di sant'Antonio abate, tra tradizione e antropologia

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