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INVIATO CITTADINO 25 aprile. Andava forte, un tempo, anche la Resistenza… al maligno

Costumi dismessi, come le “Rogazioni”

25 aprile. Andava forte, una volta, anche la Resistenza… al maligno. Costumi dismessi, ma un tempo le “Rogazioni” erano tipiche di questo giorno. La tradizione delle nostre campagne radicava nella storia. Ai tempi dell’antica Roma si tenevano gli Ambarvalia, ossia processioni rituali fatte allo scopo di propiziare il buon esito dell'annata agraria. Durante la processione si elevavano preghiere alla dea delle messi, ossia Cerere. L'ambarvale-base si teneva nel giorno del calendario corrispondente al 25 aprile. Anche le civiltà italiche praticavano queste liturgie benauguranti. La Chiesa si occupò di voltare la pratica in rito cristiano.

Oltre alle “Litaniae maiores”, se ne tenevano altre (minores) di tre giorni come “lustratio pagi” (purificazione del villaggio) dal lunedì al mercoledì precedente l’Ascensione.

Si partiva dalla chiesa parrocchiale e si percorrevano lunghi tratti fino alle chiesine campestri o alle edicole. Tutti in fila: sacerdote coi paramenti viola, confraternite e fedeli, coi ragazzini che saltavano qua e là.

Il prete lanciava la rogazione “A fulgure et tempestate… A peste, fame et bello” (Dal fulmine e dalla tempesta… Dalla peste, dalla fame, dalla guerra), mentre l’assemblea ripeteva “Libera nos, Domine” (Liberaci, Signore!).

Ricordo che – come accadeva anche con la messa in latino – la gente non capiva il senso. Ricordo di aver sentito “a fulmne mpestato”, in cui “tempestate” veniva tradotto col generico aggettivo dispregiativo.

Era d’uso consumare anche un pasto a base di frittata con erbe di campo. C’era chi mangiava lumache nelle cui corna la tradizione popolare intercettava un attributo del demonio. Si diceva che, mangiandole, si allontanassero le disgrazie. Circolava il detto “Pé gni corno de lumaca… la sventura è scongiurata”.

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