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Un anno dalla scomparsa di Enrico Vaime, il ricordo dell'Inviato Cittadino

Un libro postumo da oggi in libreria ne ripropone la pungente ironia

Ricorre, oggi 28 marzo, la scomparsa di Enrico Vaime. Un libro postumo da oggi in libreria – a cura dell’amico Umberto Marini – ne ricorda la storica collaborazione col quotidiano L’Unità. Il volume s’intitola “Oggi il cretino è pieno d’idee” e riprende il filo rosso de “I cretini non sono più quelli d’una volta” (a breve la recensione nella rubrica LETTI PER VOI).

Intanto, senza valenza commemorativa (che a Enrico sarebbe spiaciuta) sia lecito ripercorrere in grande sintesi il suo rapporto con Perugia, dove era nato, al Borgo Bello, e aveva frequentato le scuole. Fino al liceo, completato poi a Napoli, dove era stato trasferito il padre bancario. Indimenticabili le sue gag sul sentirsi “parlare buffo” nell’antica Partenope, dove perfino i professori indulgevano al dialetto.

A Perugia Enrico era stato un “mariottino”, ma aveva anche coltivato una forte vocazione musicale, assai apprezzata al Conservatorio Morlacchi, che d’improvviso abbandonò.

Enrico, laureato in Giurisprudenza (ci ricorda Umberto) con una tesi in Diritto di Navigazione (lui che vomitava al solo vedere oscillare una barca), si proietta nel mondo dello spettacolo. Vince in Rai un concorso (per 50 posti, 36 mila aspiranti) i cui commissari erano (fonte Marini) Moravia, Pasolini, Ungaretti, Piccioni, Diego Fabbri, Patroni Griffi, Attilio Bertolucci (“signora mia, i commissari non sono più quelli di una volta!”, direbbero Franca Valeri o l’amica Simona Marchini). Conosce e frequenta Garinei&Giovannini, Umberto Simonetta, Marcello Marchesi, Luciano Salce, Cesare Zavattini, Ennio Flaiano, Maurizio Costanzo, Luciano Bianciardi e fa coppia autoriale con Italo Terzoli. Scrive alla grande per Canzonissima, Quelli della domenica, collabora coi maggiori comici nazionali (Bramieri, Montesano, Villaggio), inventa la straordinaria rubrica radiofonica Black Out dove lancia un giovanissimo imitatore, Fabio Fazio (che ha promesso di dedicare a Vaime un commosso ricordo). Ma scopre pure Simona Marchini e, più recentemente, Paola Cortellesi. Scrive un intero ripiano di libri di successo, film, commedie musicali…

E il suo rapporto con Perugia? Viscerale. Innanzitutto aveva casa al Lago, dove ospitava antichi sodali. Dopo la pensione, i genitori tornarono ad abitare in via Lorenzo Spirito Gualtieri e, quando Enrico veniva a trovarli, faceva un salto alla Clinica dell’amico d’infanzia Alfredo Liotti che lo costringeva a sottoporsi a qualche esame clinico.

E poi tornava a vedere amici e ricevere premi. Una volta, con la mia Accademia del Dónca, gli assegnai la prima edizione del Premio alla Cultura, che ricevette con piacere. In un teatro Morlacchi stipato all’inverosimile (gallery) con l’assessore alla Cultura Andrea Cernicchi e l’allora sindaco Boccali a omaggiarlo (foto). Lo attendevano, fra gli altri, gli amici Umberto Marini e Pasquale Lucertini (al cui funerale, alla chiesa di Santa Lucia, mi regalò una frase bellissima che voglio riproporre: “Pasquale m’ha fatto sempre ridere. Questa è la prima volta che mi fa piangere”). Vaime era anche amico di Franco Venanti, che apprezzava come pittore e come uomo. Fecero insieme varie cose, come spettacoli, eventi, libri e mostre memorabili (“Pizzi e nastrini”) e, nel 2006, il divertentissimo “Si metta per un attimo nelle mie penne” in cui i tipi umani erano da Franco effigiati sub specie avis. Enrico aveva stilato delle sapide didascalie. 

FOTO - Vaime a Perugia per il Premio alla Cultura dell'Accademia del Dónca

Enrico era generoso e dava sempre riscontro della ricezione dei miei libri che leggeva con apprezzamento. Gli era molto piaciuta l’etimologia di “marampto” la cui derivazione feci risalire a “male aptum”. Mi disse: “Ne leggo una scheda per sera con grande divertimento”. Mi chiamava “il professore”, forse con una punta d’ironia. Una sera, al ristorante La Rosetta con la Famiglia Perugina, uscì a fumare. Parlammo un po’ da soli e mi chiese, con curiosità, come fossi riuscito a smettere il vizio del fumo. Lui lo trascinò fino all’ultimo dei suoi giorni. Vaime amava le persone corrette, detestava gli imbroglioni, fra i quali un comico: reo, a suo dire, di spacciare per proprie delle battute a lui rubate.

Ricordo che qualche anno fa, atteso a Corciano per un evento, non lo si vedeva. Lo chiamai al cellulare chiedendogli “Dove sei?”. Mi rispose: “A casa”. Non ne sapeva niente, disse. Insomma, ci si arrabbiò. Ma, chiamato pubblicamente al telefono, fu cortese. Mi disse poi: “L’ho fatto per te”.

Una volta mi chiese aiuto per un’edizione del Festival di Todi in cui era impegnato insieme a Maurizio Costanzo. Mi onorò col nome in locandina. Ma io mi scordai di andarci e non se ne offese. In compenso, non ricevetti compenso. Poco male. Generoso e disponibile, era legato alla tradizione e ai valori veri. Comunista? Non so, ma progressista e libertario certamente.

Una volta, d’estate, lo chiamai per una nota. Mi disse: “Come faccio? Sto al mare. Non ho neanche la macchina da scrivere”. Perché – come il grande Montanelli – Enrico scriveva con la Olivetti Lettera 32. Un mezzo antidiluviano per una mente modernissima. E un cuore grande.

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