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"Ciao, Raffaella. Ti devo tutto, non ti dimenticherò". Intervista esclusiva con l'attore assisiate Alfiero Toppetti

“Resta il ricordo, indelebile e struggente, di un’amicizia, di una grande professionalità, di una generosità rara in quell’ambiente. Una persona unica, che mi mancherà”

Ciao Raffaella, ti devo tutto, non ti dimenticherò. Parla l’attore assisiate Alfiero Toppetti.

Alfiero, come avvenne l’incontro fatale che ti avrebbe portato nelle case degli Italiani, nel programma di punta della Rete ammiraglia, per sei ore di programma domenicale?

“Raffaella mi vide nella settima puntata di ‘Hamburger Serenade’ e mi chiamò. La cosa mi era stata anticipata da Vincenzo Leoni, un operatore ‘a spalla’ che lavorava al “Costanzo Show”. Era corregionario, provenendo da Norcia, e si lasciò andare a qualche confidenza. Mi disse di aver captato una chiacchiera secondo la quale la Carrà aveva pensato a me per “Domenica In”. Naturalmente, mi parve uno sproposito, ma la notizia mi scosse molto (non so se più per entusiasmo o per timore), perché avevo una stima immensa per questa incommensurabile artista”.

Come nacque l’incontro?

“La signora del video mi convocò a casa sua per un incontro conviviale in cui si sarebbe parlato anche di lavoro. C’erano personaggi importanti del milieu televisivo, collaboratori di Raffaella (Japino), amici come Pupi Avati e addirittura il direttore di Rete, Brando Giordani. Con me, il giovane Nik Novecento, altro inviato speciale della fortunata trasmissione (molto caldeggiato da Avati che aveva verso di lui un senso di protezione paterna)”.

Come si sviluppò la proposta?

“Raffaella disse che ci voleva, me in particolare, come inviati per ‘tastare il polso alla provincia’. Aveva in mente di farci interloquire con personaggi come poeti popolari, cantastorie, musicanti, esponenti di una realtà sociale e antropologica in via d’estinzione. Era convinta che sarebbe stata un’operazione di forte coinvolgimento emotivo per il pubblico di tutti i tipi”.

Le cose, dunque, andarono lisce?

“Ricordo però che il direttore di rete sollevò obiezioni per il costo eccessivo dell’operazione. Era ancora viva una polemichetta sulle spese eccessive della Rai per una trasferta americana e non si voleva riattizzare il fuoco. Io e Nik ci facevamo piccoli piccoli, a testa bassa, senza fiatare, per l’imbarazzo e l’emozione”.

Perché Brando Giordani si opponeva?

“Per ciascuno dei due inviati – diceva – occorre una troupe di almeno dodici persone: un costo insostenibile, in questo momento”.

E la Carrà come la prese?

“Raffaella, che era convinta della validità del progetto, andò su tutte le furie e dichiarò che voleva Toppetti in studio accanto a sé. ‘Per fare che?’, obiettarono. ‘Toppetti è bravo, buca lo schermo. Lo voglio: vedrete che farà certamente bene!’”.

Intanto?

“Intanto le cose cominciavano ad andare benissimo. Pupi mi portò con sé a Venezia: fu un delirio di consensi, dato che la gente (dopo il primo programma) mi riconosceva e mi apostrofava per nome, con mia grande meraviglia”.

Alla fine firmasti il contratto.

“L’avventura di ‘Domenica In’ effettivamente iniziò e fu strepitosa. Dopo Baudo e Corrado, la Carrà fece benissimo e non temette il confronto, né fece rimpiangere la professionalità di quei due mostri sacri. Raffaella ampliò ulteriormente la propria popolarità, tanto che l’anno dopo fece il gran salto in Mediaset”.

Quale il tuo rapporto personale con Raffaella?

“Splendido. Quei sei mesi (a cavallo fra 1986 e 1987) furono per me una vera Accademia. Non tornavo nemmeno a casa: stavo in redazione e in studio senza interruzione. Volevo capire come si costruiva una trasmissione, la scaletta, gli ospiti, la gestione di tempi e di spazi”.

Come si comportava con te?

“Raffaella era con me generosissima. Mi ha fatto fare di tutto: dai numeri con Silvan (quel matto mi segava, mi addormentava, me ne faceva di ogni sorta) alle presentazioni. Capitava, talvolta, che con qualche personaggio – specialmente femmina – la Carrà non intendesse misurarsi. Evito di fare nomi, ma in genere si trattava di cantanti supponenti, sguaiate, sopra le righe, con cui Raffaella, da vera signora, non voleva avere a che fare. Allora mi diceva: ‘Toppetti, fai tu!’. E io facevo, preparandomi e mettendomi in gioco”.

I rapporti con gli altri?

“C’era anche Pino Caruso, comico siciliano simpatico e disponibile, con cui m’intendevo alla perfezione. Raffaella mi voleva sempre vicino a sé. A far che? Mi diceva ‘Tieniti pronto, ti voglio vicino’. Magari avevo in mano un foglietto, le passavo un messaggio. Ero, insomma, a disposizione. Mi ripeteva continuamente: ‘Tu hai una grande fortuna: buchi il video. Nel nostro ambiente è una dote fondamentale’. Io mi meravigliavo ogni volta di tutta questa fiducia che mi ha sempre dimostrato. Magari, anche mettendomi in difficoltà… ma per offrirmi opportunità di crescita, farmi sperimentare percorsi”.

Quando scrivevo la tua biografia, mi hai raccontato di una vostra comune invenzione.

“È vero. Con Raffaella abbiamo coniato una battuta che è rimasta memorabile: ‘La domenica è femmina’. Sono passati trent’anni: ancora la gente se la ricorda e me la ripete incontrandomi”.

Ti stimava e ti voleva bene, vero?

“Quando la gente mi riconosceva per strada, Raffaella diceva: ‘Diavolo di un Toppetti, sei internazionale’. Mi voleva bene, mi manifestava un senso di affettuosa protezione, aveva piacere che imparassi il mestiere. Le devo tutto. Ancora oggi, quando sono in treno o per strada, in qualche città italiana, la gente mi chiama per nome o, più facilmente, per cognome. Come a Roma: ‘Anvedi, Toppetti!’. Confesso che per me è una soddisfazione”.

Racconta di quella volta che ti tirò uno scherzo.

“Una volta, in trasmissione, mi disse: ‘Io vado di là, fa’ tu’. ‘Ma cosa?’ ribattei preoccupato. ‘Chiedi, fa’ domande al pubblico, senti da dove viene.., insomma fa’ tu!’”.

Come reagisti?

“M’ebbe da pià n colpo! Allora, col microfono in mano e un cameraman al seguito, mi infilai fra il pubblico e cominciai a domandare. Intercettai un ragazzo di colore e giù a chiedere ‘chi sei, da dove vieni, come mai sei qui?’. La gente rideva, ci aveva preso gusto: mi incoraggiava con gli occhi a interrogarla, ad essere chiamata in causa. Andai avanti per diverso tempo, col sorriso smagliante e superando l’iniziale imbarazzo, finché non mi apparve un cartello con la scritta “pubblicità” e Raffaella, da dietro, entusiasta, che mi faceva ‘bravo!’ e batteva le mani. Fu un trionfo inaspettato, un’esperienza improvvisata, commovente e bellissima”.

Insomma, aveva architettato un trappola che per te fu un successo.

“Seppi poi che il fatto non era avvenuto per caso, ma l’esperimento era stato suggerito dal regista Sergio Corbucci che doveva essere intervistato come ospite ed era arrivato presto, molto prima del suo turno. E lo vedevo chiacchierare fitto con la Carrà: evidentemente confabulavano preparandomi la sorpresa”.

Fu per te un colpo di fortuna, o no?

“Assolutamente. Sergio voleva farsi ‘perdonare’, ma devo dire che gli debbo riconoscenza, non certo rancore. Corbucci, infatti, mi incoraggiò e mi disse: ‘Sei stato bravo. L’ho suggerito io a Raffaella. Ma adesso ti faccio fare il principe in “Roba da ricchi”, con Pozzetto e la Dellera’. Un sogno: fu il mio primo film. Molti altri ne sarebbero venuti.

Cosa ti resta di quell’esperienza con Raffaella?

“Resta il ricordo, indelebile e struggente, di un’amicizia, di una grande professionalità, di una generosità rara in quell’ambiente. Una persona unica, che mi mancherà”.

Scomparsa di Raffaella Carrà, il ricordo di Alfiero Toppetti

(foto esclusive dalla biografia di Sandro Allegrini 'Alfiero Toppetti. Una spalla per amico', Morlacchi editore)

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