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INVIATO CITTADINO Quando una scrittrice e giornalista mugnanese, allieva di Capitini, dialoga (virtualmente) con una vittima della Shoà

Un incontro (epistolare), affettuoso e colloquiale, immaginato, eppure straordinariamente vivo e vivace, tradotto in un saggio (“Cara Irène”) di quasi seicento pagine in cui si dipana la figura di donna e di scrittrice ebrea, naturalizzata francese, della grande Irène Némirovsky

Quando una scrittrice e giornalista mugnanese, allieva di Capitini, dialoga (virtualmente) con una vittima della Shoà.

Un incontro (epistolare), affettuoso e colloquiale, immaginato, eppure straordinariamente vivo e vivace, tradotto in un saggio (“Cara Irène”) di quasi seicento pagine in cui si dipana la figura di donna e di scrittrice ebrea, naturalizzata francese, della grande Irène Némirovsky. All’anagrafe Irina, nome che richiama la terra Ucraina e che ci cala in un contesto storico e antropologico di drammatica quotidianità.

Presentazione fortemente partecipata, da un folta rappresentanza della comunità mugnanese, oltre che da esponenti del mondo culturale, letterario e scientifico non solo perugino. Fra i personaggi accorsi a far festa all’opera, lo scienziato Franco Cotana, prezioso amico del coniuge Michele Cinaglia, personalità eminente del mondo imprenditoriale. 

FOTO - Quando una scrittrice e giornalista mugnanese, allieva di Capitini, dialoga (virtualmente) con una vittima della Shoà

Siamo all’interno del Bar-Molino Centumbrie, in un ambiente a spiccata vocazione identitaria. Per noi, non meno che per l’autrice, mugnanese di nascita e di persuasa appartenenza, malgrado sia, da decenni, civis inquilina della Capitale. Proprio per questo motivo non ha rinunciato a presentare la sua opera, coraggiosa e complessa, anche nel territorio che l’ha lattata e formata alla cultura. Dopo averne pubblicamente parlato con amici del calibro di Anna Oliverio Ferraris e Paolo Pagliaro.

A dar man forte a Marilena Menicucci, l’editore Carlo Gallucci con le giornaliste Rita Boini e Luigina Miccio. Un poker di rango per una conversazione che si dipana con garbo e complicità.

Marilena spiega la genesi casuale di questo incontro umano e letterario con la scrittrice: una degenza ospedaliera che diviene occasione di relazione e conoscenza. La lettura di un primo romanzo e poi l’approfondimento, capillare e coinvolgente, con le pagine di questa autrice che non poté ricevere il Nobel, causa la sua uccisione in lager, ad Auschwitz, nel 1942.

“Libri, i suoi – racconta Menicucci – che coinvolsero il milieu intellettuale del ‘secolo breve’ per motivi di carattere storico (Irène racconta, in modo quasi asettico e cronachistico, eventi storici vissuti), stilistico (una narrazione unica e originalissima), esotico (una dimensione atipica dell’ebraismo), mondano (nei salotti si discuteva di queste opere)…

“All’inizio ho provato difficoltà a entrare in questo mondo di ‘cattiveria’, di rosso sangue, di indagine intorno al male che alberga nell’uomo”, racconta l’autrice.

Temi di carattere storico, etico, formativo… si intrecciano e si sovrappongono in un lavoro che, pur nella complessità e nell’ampiezza del respiro, si propone come opera ad alta (e gradevole) leggibilità.

Ne dànno conto le presentatrici-intervistatrici, Rita e Luigina, con discrezione e competenza. Ne ragiona l’editore Carlo Gallucci che – quando Marilena gli consegnò pacchi di quaderni e di laboriose analisi – credette da subito nella possibilità di condensarli in un’opera “ch’era follia sperar”.

Ecco, dunque, grazie all’accorta e appassionata mediazione di Marilena Menicucci, delinearsi la figura di una scrittrice, come la Némirovsky, ignota ai più (incluso chi scrive) e la cui pagina è certamente meritevole. Perché ci aiuta a riconoscerci fragile fibra dell’Universo, nella condivisione drammatica, eppure esaltante, dell’avventura esistenziale. “Persone e personaggi – scrive Marilena – accomunati da una stessa ferita: quella dell’umanità orfana”. Orfana di pietà. L’unico valore che ci fa riconoscere nella nostra essenza e dignità di uomini. L’unico testimone positivo del nostro esistere. Pietà da riservare al prossimo. Ma anche a noi stessi.

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