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E' morto il pittore Raffaele Tarpani: il ricordo dell'Inviato Cittadino

Grazie, Raffaele, per essere riuscito a camminare controvento senza paura di spettinarti. Quei capelli bianchi e lunghi fino alle spalle, o legati a codino, li hai portati fino all’ultimo. Eterno adolescente

Ci ha lasciati l’amico pittore Raffaele Tarpani, artista classico, ma anche attivo sperimentatore. Era contento quando lo chiamavo “dottoriano” perché gli piaceva rivendicare quel discepolato, tanto che era solito riportare in brochure una frase di elogio del Maestro dell’aeropittura.

Raffaele è stato un deciso innovatore, sia per l’uso di tecniche e supporti che per i temi sempre originali. Amava proporre un’immagine del paesaggio in cui masse e volumi erano scanditi da fasci di luce provenienti da un sole dorato, alla sinistra della tela. Lo otteneva fondendo lamina dorata e poi lavorando a olio. Non si vergognava di usare lo straccetto per le scolature. Era di una velocità impressionante: una volta al Cerp realizzò un pezzo in venti minuti.

Era padrone di tante tecniche: dall’incisione alla pittura murale (penso a Mugnano, ma non solo), dall’acquerello alla litografia. Sempre alla ricerca di una “inventio” creativa. Aveva esordito alla grande al Festival dei due Mondi e aveva poi realizzato una serie incredibile di mostre ovunque. Non era schifiltoso, Raffaele, e amava esserci, magari nel paesino più sperduto gli piaceva lasciare la sua impronta.

Quando si allontanava dal suo cliché, sperimentava rompendo col figurativo in cui era considerato eccellente, anche per la completa padronanza del disegno che gli derivava da studi regolari e da un assiduo esercizio. Una volta, alle Logge di Braccio, nel 2007, propose una nuova linea consistente nella divisione della tela in due parti sovrapposte, che dialogavano attraverso intrusioni di colore che in un servizio definii scherzosamente “scolature”. Se ne adontò, ma, capito l’amichevole sfottò, ci facemmo insieme due risate.

Raffaele era maestro nato e faceva scuola di pittura. Non a caso, era circondato da allievi e specialmente… allieve. È vero: gli piacevano le donne, ma questo non lo considero affatto un difetto. Anzi: una risorsa, anche artistica.

Raffaele era tutto estro e creatività. Quando gli dicevo che era l’ultimo degli artisti “maledetti”, gongolava. Lo facevo per dissuaderlo dalla sua smodata passione per il fumo e dall’apprezzamento di un bicchiere o due. Ma sapeva che lo facevo per affetto e non se ne adontava.

Raffaele aveva l’umiltà dei grandi e non disdegnava di partecipare alle estemporanee. Anzi, ne faceva parecchie. Era bello mangiare alle sagre, raccontare storie, commentare i lavori degli altri. Gli dicevo: “Non puoi partecipare, sei un professionista”, ma lui nicchiava. Certe volte evitavamo di farlo vincere, per non scoraggiare i pittori della domenica. Un giorno, in un paese sul Lago, si offese per non aver vinto. Ci scherzai e gli comprai (a prezzo amichevole) quella tela, ora appesa a una parete del mio studio. Mi disse: “Ridammela, te la finisco a studio”. Risposi: “È bella così”. Rappresenta un paesaggio con case ammassate e illuminate dal tuo sole d’oro. Quel sole spicca in un cielo corrusco in basso e limpido in alto. Dove stai adesso, Raffaele, finalmente pacificato, a contemplare le miserie umane. Dicono che tu sia morto in solitudine, ma di amici ne hai tanti vicino: penso a Pietrino Crocchioni con cui hai condiviso il banco di scuola. E noi restiamo a guardare e conservare gelosamente le belle opere con la tua firma che finisce con la lettera “i”, soprastata da un puntino che è un segmento, curvo come te e lungo come un pennello..

Grazie, Raffaele, per essere riuscito a camminare controvento senza paura di spettinarti. Quei capelli bianchi e lunghi fino alle spalle, o legati a codino, li hai portati fino all’ultimo. Eterno adolescente.

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