rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
Attualità

Perugia ricorda Alberto Giacomelli, intervista esclusiva al figlio don Giuseppe

La sua vicenda professionale e umana è raccontata nel libro di Salvo Ognibene “Un uomo perbene”, con prefazione di Attilio Bolzoni

Perugia ricorda Alberto Giacomelli, un grande magistrato, caduto sotto i colpi della mafia. La sua vicenda professionale e umana è raccontata nel libro di Salvo Ognibene “Un uomo perbene”, con prefazione di Attilio Bolzoni.

Se ne è parlato a Palazzo Manzoni, nella Sala delle Adunanze, con Mario Tosti (Direttore del dipartimento di Lettere), Fausto Cardella (procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugia), don Giuseppe Giacomelli (figlio del giudice Alberto), Pietro Sirena, già presidente di sezione della Cassazione. Interventi coordinati, e conclusi, dal professor Pasquale Guerra (Isuc).

In privati colloqui, il figlio don Giuseppe ricorda il ruolo fondamentale dell’Associazione Nova Itinera, che, col magistrato Stefano Amore e con lo stesso Cardella, si fa carico di onorare il nome e la memoria dei 27 magistrati, caduti sotto i colpi di mafia e terrorismo.

Ricorda: “Sono passati 31 anni da quel 14 settembre 1988, quando mio padre, già pensionato, fu invitato da qualcuno (non si è mai scoperto chi) a scendere da quella Panda bianca, in campagna, per essere crivellato di colpi. Me lo aveva sempre detto che lo avrebbero ucciso, sebbene ormai in congedo”.

Le parole del sacerdote si fanno accorate: “Ho ancora negli occhi il lago di sangue che macchiava l’asfalto dove mio padre agonizzò per sette ore. Dovettero riasfaltare per cancellarne le tracce. Tutte le volte che celebro messa, quando pronuncio la formula del corpo e del sangue, ho nella mente e nel cuore quell’immagine straziante. Sacerdote da soli tre anni (la sua è una vocazione matura, ndr), fui io stesso a celebrare il funerale: ancora adesso non so come!”.

Ma quale il motivo della condanna a morte di suo padre?

“Aver posto sotto sequestro, e poi confiscato, i beni del fratello di Totò Reina, Gaetano: uno sgarbo che non gli perdonarono, un esempio da offrire ai riottosi, ai nemici”.

Come mai quel delitto ebbe una eco inferiore ad altri consimili?

“Si disse che era una faccenda non di ‘cosa nostra’, ma di ‘casa nostra’. E come tale, forse, doveva rimanere sottotono. Anche perché mio padre aveva sempre evitato le luci della ribalta, preferendo operare in modo sobrio e riservato”.

L’intervento di Fausto Cardella punta i riflettori sui metodi mafiosi che prevedevano, per gli avversari, la morte o la diffamazione. E cita l’espressione siciliana “marcarià” per “marchiare, sporcare la faccia”. Da qui la necessità, per il magistrato, di non “mangiare nello stesso piatto” (ossia evitare contatti e compromissioni) con chi sia in odore di mafia.

Nel cedere la parola a Pietro Sirena, Cardella lo ringrazia pubblicamente per il suo magistero autorevole, e amichevole, impartitogli nel periodo di formazione, quando con Sirena svolse il ruolo di “uditore”. Insomma di “apprendista magistrato”.

Pietro Sirena dilata la propria appassionata rievocazione del giudice Giacomelli, ripercorrendo i sentieri di un’antica amicizia di famiglia, tanto da farlo scegliere come padrino di don Giuseppe, “Peppino”, che gli siede accanto e assevera le sue affermazioni. Ne esce, scolpita a tuttotondo, la figura umana e professionale di un grande uomo. Quello che, appunto, Perugia ha inteso pubblicamente commemorare.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Perugia ricorda Alberto Giacomelli, intervista esclusiva al figlio don Giuseppe

PerugiaToday è in caricamento