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Venerdì, 9 Giugno 2023
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Nessuno uccise Aldo Capitini in quella sala operatoria... è la bufala del cinquantenario

A mezzo secolo dalla scomparsa di Aldo Capitini, scoppia una tempesta in un bicchier d’acqua: la teoria del complottismo, applicata alla morte del filosofo perugino

A mezzo secolo dalla scomparsa di Aldo Capitini, scoppia una tempesta in un bicchier d’acqua: la teoria del complottismo, applicata alla morte del filosofo perugino. Dice un suo persuaso e competente studioso: “Non lo fece fuori il fascismo, è ridicolo solo ipotizzare che lo abbia ammazzato la repubblica”.

In effetti sa di gossip, più che di tesi storica, l’idea che quell’intervento chirurgico tardivo, in soggetto fortemente defedato, possa essere stato intenzionalmente orientato ad ammazzare il paziente. Ugo Mercati, giovane chirurgo presente in sala operatoria in quella circostanza, mi confermò personalmente, in occasione della mia curatela del volume capitiniano “Perugia”, che niente era andato storto, tranne il fatto che la situazione era gravissima e l’uomo debilitato, letteralmente ridotto allo stremo. Condizioni di degrado e crollo fisico sulle quali potrebbe aver avuto una qualche influenza la scelta vegetariana.

Non è un caso che lo scritto estremo, ossia una cartolina postale vergata l’ultimo giorno della sua vita e che Aldo mandò alla famiglia Binni, contenga solo la parola “Carissimi”: più avanti non poté andare. Sostiene Mario Martini “evidentemente interrotto dalla commozione”. Ritengo, invece, che causa dell’interruzione sia stato uno sfinimento che lo inibiva completamente, togliendogli perfino la forza di scrivere una parola di più alla famiglia che tanto ebbe cara. E come me la pensa Clara Cutini, ex direttore dell’Archivio di Stato di San Domenico, studiosa delle carte capitiniane, specie delle note di polizia che lo riguardavano.

Oggi Mario Martini, massimo studioso di Capitini (già presidente del Comitato scientifico della Fondazione Centro Studi Aldo Capitini, nonché promotore della pubblicazione dell’epistolario capitiniano) mi invia un suo articolo, pubblicato dal Centro Studi Sereno Regis di Torino, uno dei più accreditati Istituti per la nonviolenza in Italia. Martini, a proposito di questa diceria della morte “pilotata”, raccontando di un suo incontro con Lanfranco Mencaroni, che di Capitini fu sodale, scrive: “Mencaroni respinse queste ipotesi, che comportavano la possibilità che il paziente fosse stato lasciato morire, non solo, ma anche che fosse stato fatto morire”. Giudizio approvato da altre persone presenti a quell’incontro. D’altronde Martini non condivide nemmeno l’opinione di Antonino Drago, studioso e protagonista di molte iniziative pacifiste. Drago – con scarsa credibilità – espone la tesi della “morte non accidentale di Capitini, attribuendo ad una centrale non meglio identificata una volontà, e un disegno, di eliminare il principale esponente della nonviolenza e del pacifismo italiano”, dice Martini.

Con lui, mi sento di affermare categoricamente: bufale. Un altro studioso, Amoreno Martellini (come ci segnala l’amico Martini), sostiene a sua volta il complotto, parlando di “ricovero in clinica e del trattamento medico-chirurgico ricevuto, attraverso tre passaggi: una operazione allo stomaco, non riuscita; una seconda operazione, non necessaria; l’intervento di un secondo chirurgo che, diverso e diversamente dal primo (noto e molto bravo) nessuno conosce e sparisce dopo aver operato determinando la morte del paziente”.

Balle. Capitini è stato operato da un solo chirurgo nella persona del Professor Castrini, sulla cui valentia non sono mai stati avanzati dubbi di sorta. Lo conferma il professor Berardi, che c’era. È scritto nero su bianco che “il decorso postoperatorio iniziale è risultato nella norma, ma si è complicato in fase tardiva con un edema polmonare, legato probabilmente alla relativa carenza di proteine rilevabile nel Professore e secondaria alla sua pratica alimentare di vegetariano”. Tutto qui.

Nessuno, dunque, ha ammazzato Capitini. Al contrario: è stato curato come meglio si poteva. Ma è anche certo che il filosofo fu poco attento alla propria salute. Lo ricordo col suo incedere incerto, quando andavo ad ascoltarlo alla Facoltà di Magistero. Una persona che si occupò molto degli altri e troppo poco di se stesso.

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