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Sala dei Notari. Due testi come pretesti per discutere su Patria e Nazione, fra divulgazione alta e pop

Sala dei Notari. Due testi come pretesti per discutere su Patria e Nazione, fra divulgazione alta e pop.

Alessandro Campi, politologo di rango, Leonardo Varasano, storico e assessore alla cultura. Allievo e Maestro a confronto in fruttuosa sinergia. Senza rubarsi la scena, ma con atteggiamento complementare, quasi affettuoso.

A ‘moderare’ (secondo una usurata dizione formulare) il comune amico Gianni Scipione Rossi, in veste di garbato provocatore. O, per meglio dire, suscitatore di questioni.

Gli spunti fanno capo a due pubblicazioni sinergiche, uscite da Rubbettino: “Il fantasma della Nazione” di Campi e “Nazione Pop” di Varasano [LETTI PER VOI. 'Nazione pop' di Leonardo Varasano. Un libro che coniuga metodo accademico e divulgazione alta (perugiatoday.it)].

Si parte con un filmato di Nilla Pizzi dal mitico “Vola colomba”, 1951 (seconda edizione del festival di Sanremo… ma Perugia, 1950, lo aveva anticipato con la vittoria di “Notturno perugino”), canzone carica di allusività politiche irredentiste. Anche “Papaveri e papere” dell’anno precedente alludeva a impari condizioni socio-economiche fra gli alti “papaveri” e i poveracci.

Ma come best Varasano preferisce “Viva l’Italia” di De Gregori.

Si parla un po’ della lotta per assurgere al titolo di inno nazionale, con spigolature poco note ai più.

Ci si chiede se il concetto di Nazione conservi ancora una propria validità. E come si possa ripensarlo tra memoria e futuro. Specie in epoca di globalizzazione, interdipendenza, quando il particolarismo si può considerare definitivamente out. Ma sarà così?

La musica, così come l’arte (Campi chiama in causa Francesco Federico Mancini) ha contribuito non poco alla formazione del concetto di patria, intesa in senso connotativo e identitario.

Eppure, rileva Campi, Nazione è un artificio, come lo sono tutte le creazioni della mente e della società umana. Non è un caso che tutte le migliori tradizioni siano inventate (lo dicono anche gli antropologi).

E il sovranismo? Dice Varasano: è un inganno di chi pronuncia a denti stretti la parola Nazione.

Certo che il tema rischia di configurarsi in maniera iniziatica. Tante sono le citazioni di autori di nicchia, noti agli studiosi e poco al pubblico generalista.

Ma la conversazione ha pure il merito di configurarsi come stimolo a riflettere su concetti che spesso, troppo spesso, vengono maldestramente declinati in modo strumentale e polemico. Per denunciare, o proclamare (quando non “urlare”) appartenenze di parte.

Consola aver sentito che il dibattito (una vera teaching session per noi meno iniziati) fa capo proprio a Perugia che si configura come la fonte del tema affrontato dai due libri. Considerando che Federico Chabod (1961) pose la questione in una serie di conferenze tenute a Palazzo Gallenga (e il rettore Valerio De Cesaris annuisce) e che si pose con lui in linea di continuità Carlo Curcio (1971), docente di Storia delle dottrine politiche allo Studium perusinum.

Prova evidente che temi e problemi “a volte, ritornano”. Merito di due studiosi che godono peraltro della stima incondizionata. Dei Perugini e non solo.

P. S.: Un modesto suggerimento (per la seconda edizione) a Varasano circa l’uso politico, in senso parodistico, della musica popolare. Posso testimoniare di aver udito, nel contesto storico-antropologico delle tabacchine altotiberine al lavoro, la canzone “Vola colomba” applicata al viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti. La ‘colomba bianca’ era la DC e si diceva al politico: “Vola dai tuoi Americani perché con noi non puoi restar”.

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