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Ci ha lasciato don Mario Stefanoni, figura carismatica della chiesa perugina. Un sacerdote sapiente, modesto, ironico, generoso

Ci ha lasciati don Mario Stefanoni, figura di altissima spiritualità e di impareggiabile umanità. Può ben dirlo chi frequentava le sue liturgie, sempre intense e suggestive. Lo piangono e lo rimpiangono quanti lo seguivano in cattedrale, alle confessioni, e a dir messa a Santa Maria Nuova, tra la gente della Pesa.

Avevamo festeggiato i suoi ottanta il 9 novembre 2021. Una festa in cui, dopo la celebrazione domenicale, era stato circondato dall’affetto e dalla simpatia di tanti amici e fedeli.

Personalmente, avevo ripreso la frequentazione della chiesa di Santa Maria Nuova per assistere alle sue celebrazioni. Dalle quali si tornava a casa sempre con un sicuro arricchimento, un dubbio sciolto, un insegnamento di vita. Le sue omelie non erano infatti formali e uggiose, ma ricche di spunti, infarcite di consigli sul come attraversare cristianamente l’avventura esistenziale. Era un prete di quelli formati con un robusto sapere biblico-liturgico, competenze musicali (leggeva e cantava all’impronta il salmo), occhi aperti sul mondo, sull’attualità.

Scherzava, don Mario, specialmente su di sé. Era capace di autoironia, perfino sul problema ai polmoni che lo affliggeva fin da giovane.

Certe volte salivo con lui su in via Bontempi, fino a casa, dove arrivava con passo lento e fiducioso. Ultimamente le sue condizioni di salute erano peggiorate. Anche la vista era calata, tanto da costringerlo a usare una grossa lente. Nel salire all’altare incontrava qualche difficoltà. Un giorno ha raccontato un aneddoto, usando il verbo perugino “arancà”, che significa “salire con sforzo”.

“Una volta al neo re d’Italia Vittorio Emanuele II un sindaco di una località collinare del perugino ebbe a dire: Maestà, da noi le strade sono pessime. S’aranca!”. Per dire ‘si procede con difficoltà’. A rappresentare l’analogia con la sua situazione personale.

È vero: don Mario ci ha da sempre abituati a una robusta dose di autoironia. Scherzava, don Mario, quando gli chiedevo se l’avessero fatto o no canonico della cattedrale. Era portato a minimizzare se stesso, pur disponendo di una cultura grande. Si faceva piccolo. Ma era una di quelle persone che, per profondità di pensiero e gentilezza, ti fanno sentire piccolo nel modo giusto, senza umiliarti.

La sua Messa era opera di divulgazione. Spiegava chiaro tutto a tutti, facendo anche qualche inciso nella lettura. Voleva che tutti capissero, l’incolto e l’inclito.

Don Mario era un noto dispensatore di caramelle. Oltre che di una dolcezza e generosità che erano fermezza e non ammettevano dinieghi. Diceva che il bene della pace è immenso. E ce n’è per tutti. solo che si abbia voglia di metterne un po’ in tasca, nella mente, nel cuore. Tutto questo ben prima dell’Ucraina.

Tempo fa, nel salutarci prima della chiesa della Buona Morte, mi domandò: “Quanti nipoti ha?”. Risposi: “Sei”. Infilò le mani nelle tasche e ne trasse sei caramelle morbide, che mi contò davanti agli occhi. Poi si fermò e, con fare complice, ne tirò fuori una settima, dicendo “Questa è per Lei”. Credo fosse un modo per ringraziarmi se qualche volta gli avevo fatto una lettura in chiesa o un servizio nel giornale. La Festa dello Scapolare, le notizie sulla chiesa del Carmine, il servizio sull’Oratorio del SS.mo Crocifisso col portone restaurato dall’ebanista Gustavo Sanchirico. O la festa di compleanno. Il furto del bancomat… e tanto altro. So che le notizie gliele riferiva la sua fedele badante che lo teneva come la rosa al naso. Oggi è un giorno brutto anche per lei, rimasta senza lavoro. Oltre che senza il conforto di una presenza leggera eppure fondamentale.

Ciao, caro don Mario. Te ne sei andato in prossimità della Pasqua, pronto a risorgere. Ti metterai in disparte, ma qualcuno ti chiamerà vicino a sé. Di certo, ti ricorderemo tutte le volte che gli occhi si poseranno sulla volta del Garbi col Trionfo della Croce. Quella croce che hai onorato nella tua missione di sacerdote. Quella croce che hai saputo portare con discrezione e dignità. La croce che ci inchioda a questo tempo duro. Insopportabilmente violento e contrario a tutto ciò che ci hai insegnato ad amare. A volere.

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