Le riflessioni, amare, di Mauro Monella, sulla vecchia e nuova Monteluce
Un labirinto senza via d’uscita. Che farne?
Le riflessioni, amare, di Mauro Monella sulla vecchia e nuova Monteluce. Un labirinto senza via d’uscita.
Dice l’architetto-urbanista
“Oggi, in poco tempo, tutto è cambiato, siamo diventati orfani del Policlinico”.
Quale il senso di questa complessa operazione urbanistica che si diceva proiettata nel futuro?
“Nonostante ogni umano sforzo, non si riesce ancora a comprendere quale modello urbanistico stia alla base di questa cosiddetta ristrutturazione dell’area dell’ex ospedale”.
Fu presentata come un’operazione di rilievo.
“E questo sarebbe il moderno Corso Vannucci, come fu detto con grande plauso nella cerimonia inaugurale? Non si vede niente che gli somigli. Al battimano parteciparono anche quelli che oggi, perfetti “gnorristi”, chiedono: ‘ma voi dove eravate?’”.
Ce lo dici?
“Noi eravamo ad elaborare e suggerire la proposta di ripristino dell’antico “lucus”, un salutare polmone verde da amalgamare con l’accogliente giardino alberato del Policlinico”.
Invece, cos’è accaduto?
“Ora invece, percorrendolo, si ha la netta sensazione di trovarsi in un luogo dell’indecisione, dove il sipario è calato definitivamente su una realtà cittadina che consegnava la storia e l’impronta, umana e culturale, di tante generazioni”.
Cosa c’è oltre i sipario?
“Oltre il sipario c’è piazza Cecilia Coppoli: una grande grigliata con effluvio di miasmi delle auto parcheggiate nel sottostante piano interrato. Un palmare esempio di come NON si debba progettare una Piazza”.
Quali gli errori più grossolani?
“È mai possibile progettare una piazza senza i luoghi dello stare? Quali i punti di appoggio, di sosta, di confronto, di dialogo? Si può chiamare piazza un posto in cui le persone si incontrano sopra un tappeto di griglie metalliche da cui fuoriescono i gas combusti del sottostante garage?”
Insomma, manca l’ubi consistam, il luogo dell’accoglienza?
“Che senso ha una piazza con condizioni ambientali che respingono, invece che accogliere? Che fine hanno fatto gli ideatori politici di questo spazio, dove sono gli architetti che lo hanno disegnato? E dove gli ingegneri, i tecnici che lo hanno realizzato? Sarebbe utile per la città comprendere il senso di questa operazione”.
Dopo gli stop e il crollo economico dell’operazione, che se ne farà?
“Questa domanda è da rivolgere a chi oggi dà gli indirizzi politici e a chi è preposto a garantire la salvaguardia ambientale e culturale della città. Aspettiamo la risposta, perché sembra che nessuno si stia accorgendo che Monteluce è diventata estranea a se stessa. La LUCE è stata messa da parte, sopraffatta dal buio”.
Eppure si era partiti con grandi aspettative.
“Nella presentazione ufficiale, in occasione della posa della prima pietra, le autorità politiche, tecniche, civili e religiose avevano indicato la Nuova Monteluce come modello urbanistico d’avanguardia da studiare. Gli studenti di Urbanistica e di Architettura di tutto il mondo sarebbero venuti qui a studiare questa realizzazione...”.
Com’è finita?
“Siamo noi oggi che dobbiamo trovare il coraggio di chiedere loro aiuto. Occorre resuscitare nella nuova piazza la fragranza di quell’antico basilico della tradizione, quello amorevolmente preparato dalle monache di S. Erminio. Quel basilico ‘gentile’, ispirato al simbolo spiraliforme del basilisco, l’antico drago divoratore di uomini. Ma troveremo un ‘laico’ Leone IV disposto ad esorcizzare il male piovuto addosso a Monteluce?”.
Si accettano autocandidature. Sempre che ci sia chi trova il coraggio di avanzarne.