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Ci ha lasciati Colombo Manuelli, artista di assoluto talento. Uomo rigoroso e impegnato in politica, poeta della materia

Ci ha lasciati Colombo Manuelli, artista di assoluto talento. Personaggio rigoroso e impegnato in politica, poeta della materia. Era malato da tempo. Nato a Papiano nel 1931, aveva attraversato le esperienze della didattica, animato da una forte vocazione pedagogica, coniugata con una costante e ardita sperimentazione.

La parola che meglio lo definisce è “coerenza”. Non si era mai fatto attrarre dalle lusinghe della notorietà né si era venduto al mercato. Lavorava con onestà e rigore. Ma non difettava certo di senso dell’umorismo. Dote che esercitava specialmente verso se stesso.

Voglio rammentarne un episodio che avrebbe fatto avvelenare qualunque artista. Di questo si tratta. Colombo aveva realizzato una grande opera, esposta negli uffici della Cgil di via Fiorenzo di Lorenzo. Accadde che, nel trasferimento nella nuova sede sindacale di via del Macello, qualche ignorantone smontò le tute da lavoro e le maschere che ne costituivano gli elementi. Era perfino ovvio il riferimento, in chiave politica e simbolica, al mondo del lavoro. Questo era l’intento dell’artista. Ma, evidentemente, a qualcuno quel significato doveva essere sfuggito.

Quando mi raccontò cosa era stato di quelle tute, non sapevo se scandalizzarmi o riderne di gusto. Mi riferì – ridacchiando – che qualcuno le aveva tirate giù e le aveva indossate per andare a raccogliere le ulive. Ossia: come si distrugge un’opera d’arte. O – commentò Colombo – quando se ne scopre la pratica utilità.

Ricordo che una delle ultime esperienze per le quali chiese il mio aiuto è stata quella della targa al suo Omaggio a Gramsci, ubicato in prossimità della vecchia ciminiera della Perugina: un luogo carico di memorie e sfregiato da un’urbanistica d’autore, ma incongrua con la storia della città. Un’architettura così poco amata, da dormitorio e non spazio da vivere, tanto che se ne sono visti gli esiti di generalizzato degrado.

Quello che mancava – mi disse – era il titolo dell’opera e il nome dell’autore. Senza contare che quelle pietre squadrate, della cava Borgia di Tuoro sul Trasimeno, erano diventate ballerine.

Colombo fu incontentabile: di quella targa scelse forma, dimensione, tipologia di lettere. E soprattutto ubicazione. Ricordo innumerevoli sopralluoghi per verificare che fosse vista passando in auto. Alla fine ce la facemmo. Si trovò lo sponsor e si fece l’inaugurazione. Era il 2014, a poco più di cinque anni dalla realizzazione dell’opera.

Di Colombo ricordo anche l’opera ricavata dalle balle di metalli pressati dal rottamatore Stortoni. Ossia come riportare a vita e dignità d’arte gli scarti della società dei consumi.

Come ho presente la mostra Luce-Notte alla Paolina, col rumore dell’acqua, le proiezioni a terra. Quando gli feci notare che si trattava di opere invendibili, mi rispose: “Lo so. L’arte non si compra”. Andò che finimmo col parlare di Parmenide, dei presocratici, di amici comuni, di esperienze americane. Era uomo di poche parole, ma rispondeva volentieri a domande sul suo lavoro. Mi donò brochure gigantesche che ancora conservo.

A Colombo non interessava il denaro. Dal suo terrazzo in via Annibale Vecchi si vedeva il mondo. Era capace di stare ad osservarlo con stupore. Una volta ho notato in un angolo del terrazzo una scultura bellissima che poteva valere milioni. Colombo mi disse: “La tengo per me”.

Sua figlia Laura – oggi architetto, che vive a Parigi – frequentava le medie alla Leonardo, poco lontano da casa. Si avvaleva della facoltà di non prendere le lezioni di religione e, come attività alternativa, faceva informatica, col collega Settimio Perugini, affiancato da me. Era una ragazza brillante e dolcissima. Degna figlia di Colombo. Orgogliosa del padre, tanto da avergli curato il sito che vi invito a visitare (da lì ho tratto la foto giovanile in pagina). Oggi registriamo la scomparsa di un grande artista. Prima di tutto, uomo di grande impegno politico e morale. Non l’ho mai sentito pontificare. Ci ha insegnato, con l’esempio, che si può essere grandi e modesti al tempo stesso. Che il denaro non conta. Che dobbiamo occuparci degli ultimi.

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