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"La Conca e la sua anima", in un libro i ricordi giovanili di un abitante del borgo perugino

Umberto Marini, giornalista e scrittore, descrive la Perugia che fu in un libro che unisce storia perugina e autobiografia

Umberto Marini, giornalista e scrittore, descrive la Perugia che fu in un libro che unisce storia perugina e autobiografia. S’intitola “La Conca e la sua anima” (oltre 300 pagine, 22 euro) ed è uscito per i tipi di Futura. Il sottotitolo ne declina le caratteristiche: “Dai cassetti della memoria. Ricordi giovanili di storia e storie del borgo perugino”.  Se ne attendeva la presentazione, scivolata prima a causa degli impegni dell’amica Simona Marchini e poi per il corona. L’assessore alla Cultura Leonardo Varasano s’impegna per un’idonea presentazione, in Sala dei Notari, appena le circostanze lo consentiranno.

L’ex ragazzo della Pesa-Borgo Sant’Antonio (nato nel 1934), è stato protagonista e testimone degli eventi che racconta e che hanno punteggiato la storia perugina. Un libro in cui c’è di tutto: vicende locali, musica e ballo, antropologia, modi di stare al mondo, tragedie e vita al popolare quartiere della Conca. Un lavoro in cui si mescolano riso e pianto, senza mai rinunciare a traguardare la realtà con occhio ironico e disincantato. Un libro che sfata luoghi comuni e denuncia interessate connivenze, in nome della verità. Che, alla fine, resta l’unico valore che conta.

Scrive Umberto nell’esergo: “Questa storia la dedico a quelli della mia generazione, perché ricordino, e a quelli nati dopo di noi, perché sappiano e capiscano”.

Già la copertina – con una foto dall’archivio privato di Giacomo Santucci – denuncia un amore indefesso per la città, un’appartenenza irrinunciabile.

Il libro nasce da documenti e ricordi che il giornalista Gianfranco Ricci – autore di una splendida nota in bandella – ha convinto Umberto a tirare fuori dal cassetto (la “scatola”, dice Marini).

Il volume si dipana in ben 39 capitoli dai titoli precisi e accattivanti, tanto che se ne può delibare qualcuno anche singolarmente. Trovandovi tesori d’informazioni rigorose e puntuali, anche se scritte in punta di penna e con spiccata autoironia. Il libro è impreziosito – dopo la Premessa dell’Autore – da una Prefazione di Enrico Vaime, antico sodale di Umberto, e da Riflessioni di Simona Marchini.

In chiusura, una nota dell’autore “Gente della Conca, vi voglio bene”. Qui Umberto traccia un bilancio della propria esistenza, con tanto di opinione politica, proclamata con orgoglio e dignità, ben sapendo di non aver mai fatto il servo sciocco a nessuno. Dice che con la sua “maglia” non è mai sceso in campo per avere benefici. Dichiara di aver perso tutti i treni, senza rammarico. La gente che ha preferito esaltare comprende “gli artigiani e operai di via Appia, i carrettieri di via Eremita e gli operai della Perugina, della Valigeria, della Saffa”. Poi ne nomina tanti, uno per uno, con indelebile affetto e vigile memoria. Aggiungo, incidentalmente, che Umberto è stato, ed è, amico stimatissimo di gente di teatro, scrittori, musicisti, uomini del mondo dello sport e della politica. Ma non se ne vanta. Dice: “Ora, come i salmoni, risalgo la corrente” e si dichiara innamorato della vita, sebbene “vegliardo”, come dicevano Scalfari e Monicelli.

Osserva: “Quando ero ragazzo, le scalette di via Appia le salivo e scendevo due a due. Oggi, le percorro assai più lentamente e su ogni gradino mi fermo un attimo per riprendere fiato e guardarmi intorno. Su ognuno di quegli scalini, rivivo tutti i momenti della mia vita…”.

La dedica che Umberto mi ha regalato, fatta in piedi, nella tabaccheria di piazza della Repubblica, dice: “Al mio amico Sandro con stima e per la voglia di parlare sempre della nostra città”. Umberto, ancora una volta hai fatto centro. E lasci ai perugini tracce di identità che sarebbe colpevole ignorare.

Impossibile scegliere e soffermarsi sui capitoli che ho più amato: non saprei proprio quale raccontare. Il mio consiglio è di correre ad acquistarlo, quel libro prezioso. Non ve ne pentirete.

Una parola sul poscritto, rivolto ai figli Fabrizia, Leonardo e Giacomo (e al nipote) che hanno girato il mondo e ai quali Umberto ha consigliato più volte di percorrere le scalette di via Appia e l’Acquedotto, come fanno turisti e visitatori. Dice: “Sono certo che il mio invito è rimasto lettera morta. Come tanti altri. Peccato!”.

Caro Umberto, sono sicuro che figli e nipoti questo percorso decideranno di farlo. Prima o poi.

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