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Venerdì, 19 Aprile 2024
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PERUGINERIE 2 | La città dagli anni Sessanta in un libro intervista a Mauro Tippolotti: I personaggi del Little Bar

Mauro Tippolotti, politico, pittore, scrittore, poeta, intellettuale propone un interessante "Come eravamo", raccolto nel libro di Nerina Marzano (Era Nuova editore nella collana “Storie & microstorie”)

Il lavoro al Little Bar (anche il nome inglese era una novità per Perugia) era intenso, dal mattino presto fino alla sera tardi.

La clientela molto eterogenea, popolare e intellettuale, e decisamente cosmopolita, includendo studenti meridionali e anche greci, scappati dal regime dei colonnelli, iraniani e altri. Parecchi si sistemarono definitivamente fra i travertini della Vetusta, facendo i lavori più diversi e sposando ragazze perugine.

Una fonte di attrazione era anche il juke box dove s’infilavano cento lire scegliendo tre canzoni, che erano quelle in voga, i tormentoni (come non ricordare “A chi?” di Fausto Leali o “Qui e là” di Patty Pravo, palmare esempio di disinvoltura e promiscuità, che ci attizzava parecchio).

Quando Gianfranco Rosi faceva il cameriere. Al Little Bar lavorava come cameriere un ragazzetto di Assisi. Era di complessione magrissima, con le gambette esili. Andava in palestra per farsi il fisico. Portava dietro il sacco e, alla fine del turno, usciva per allenarsi, schivo e a testa bassa. Sarebbe diventato il campione del mondo di pugilato Gianfranco Rosi. Coraggioso, ma con una paura “inconfessabile” per i pugili coi baffi.

La Montmartre perugina. Il pomeriggio – mi ricorda Mauro – iniziava il turn over. E specialmente la sera in quel luogo si riuniva un campionario di varia umanità. Diventava la Montmartre perugina, con barboni, artisti, perdigiorno, acchiappanuvole.

Ci venivano anche gli studenti dell’Istituto d’arte e dell’Accademia “Pietro Vannucci”, oltre che al Mokambo e al Bar dell’Accademia di via dei Priori, che faceva i migliori cornetti della città.

Tanti gli artisti. Fra gli artisti, Enzo Barbacci, il pittore dei piccioni, di barboni e zingarelle, dei tetti, delle Cinquecento e delle biciclette. Che poi smise di fare, perché riconobbe che a Tamburro i bicicli scassati venivano meglio. Fra i pittori, ci venivano pure Pietrino Crocchioni, anche fotografo, Fausto Minestrini, Patrizio Roila ed altri.

Si parlava di tutto, specialmente di politica e di donne. Un po’ d’arte, spesso per darsi arie intellettuali. La sera e la notte, la fauna umana era ancora diversa. Emarginati, dropouts, figure border line trovavano accoglienza e disponibilità.

Ci capitavano anche i matti e i “frosoni”. Che qui venivano accettati e onorati.

Ricordo in particolare Silvano Cenci, in arte Giorgio Straccivarius. Un vero artista: poeta e scrittore, performer e musicista di rango, tanto da aver suonato (il basso) col trombettista Chet Baker e poi la chitarra, a Nizza, col cantante amico Nito Vicini, omosessuale come lui. Stracci, maestro fallito, fu più volte silurato perché, quale che fosse il tema assegnato alla maturità, trattava sempre l’argomento del libero amore, come Sandro Penna, il poeta dei fanciulli. E le Commissioni, tutti gli anni, regolarmente lo bocciavano.

Quella volta che scrisse il suo Vangelo. Una volta, Stracci portò il suo Vangelo al vescovo che lo rimproverò dicendogli: “Figliolo, ti devi curare. Non puoi venirmi a dire che sei il Cristo. Sennò noi preti cosa ci stiamo a fare?”. Stracci fu poi “monaco tibetano” anacoreta in quel di Corciano. È vissuto a modo suo, fiero della propria diversità, finito in sedia a rotelle e poi morto in una casa di riposo a Terni, dopo aver ricevuto una botta in testa da qualcuno. Non si sa chi [Giorgio Straccivarius in carrozzella... aggressione o immaginazione? Un caso sconosciuto e irrisolto; Ciao Maestro: Perugia saluta Straccivarius, ricordandone le opere e i giorni].

Successivamente il Little Bar diventò “Papaya”, quando Ivo si associò con Piero, che aveva ben compreso, e condivideva, lo spirito di quell’impresa.

Cambiò un poco il gruppo, ma restarono le “declamazioni” appassionate di Straccivarius in via della Gabbia, dove Silvano aveva trasferito il suo “ufficio”.

Certo che, quel luogo, di facce e personaggi strani ne ha visti, e accolti, moltissimi. È stata la sintesi di una filogenesi non solo perugina, di una città capitinianamente “aperta” e cosmopolita. Una filogenesi grifagna che ricapitola l’ontogenesi dell’umanità.

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