"Lo squisito dolore" un libro che affronta la paura e insegna che la fragilità può diventare forza
E' in libreria, per i tipi di Midgard, il volume a firma di Eleonora Nucciarelli, docente, educatrice e pedagogista: "Sopravvivere al dolore, anche il più acuto, significa che in qualche modo ce l’abbiamo fatta"
Nessuno vuole soffrire. Tutti cercano di sfuggire al dolore. Eleonora Nucciarelli, educatrice e pedagogista, docente nella scuola secondaria di secondo grado a Perugia, ci invita, invece, a ripensare all’utilità del dolore. Rinnegare il dolore “equivale ad abiurare noi stessi” perché il dolore “è costitutivo del nostro essere e delle nostre esistenze”.
È uscito, per i tipi di Midgard editrice “Lo squisito dolore” (118 pagine, 12 euro) un libro che ci accompagna alla scoperta di questa sensazione o stato mentale e corporeo, che “a volte ci tormenta, a volte ci sazia, con tronfia e superba volontà di accettazione, perdono e desiderio di convivenza”.
Eleonora, “Lo squisito dolore”, iniziamo dal titolo, sembrerebbe un controsenso, come facciamo a farci piacere il dolore? Tutti noi fuggiamo il dolore, la paura, la sofferenza. Questo titolo suggerisce che anche il dolore ha un suo significato nella vita?
“Il titolo del libro è un ossimoro, un paradosso apparente che rende perfettamente l’idea di quanto trattato nel saggio, ovvero della possibilità di trasformare il dolore in opportunità imparando a canalizzarlo nella giusta direzione. Non è semplice accettare il dolore, infatti generalmente dinanzi alla sofferenza tendiamo a scappare ma così facendo ostacoliamo l’elaborazione del dolore che si incrementa nel tempo ed entra a far parte della nostra quotidianità. Consumare il dolore ci consente invece di decantarlo e di venirne fuori più facilmente anche se la sua elaborazione è personale e ognuno ha diritto alla possibilità di stabilire i propri tempi e modi. Indubbiamente il dolore ha un profondo significato nella vita: se siamo riusciti a sopravvivere al dolore, anche il più acuto, significa che in qualche modo ce l’abbiamo fatta”.
Il senso del dolore è diverso in base alla cultura dei popoli?
“La concezione del dolore è correlata al concetto di cultura, non a caso ho dedicato una sezione del mio saggio al concetto di cultura alla luce delle diverse teorie antropologiche e ai diversi modi di intenderne la rappresentazione ad esse sottese. La natura del dolore contiene un dualismo paradossale: è universale ma, al contempo, contiene i tratti di specificità che assume a seconda della persona che lo percepisce. Il processo di accettazione di senso differisce moltissimo, però, soprattutto in relazione alla persona e al proprio vissuto, ed è influenzato da variabili culturali, sociali, di classe e di genere d’appartenenza”.
Nel libro viene citata l’arte giapponese di riparare con l’oro gli oggetti rotti. Dopo quella riparazione l’oggetto, però, non è più lo stesso. Accade così anche per il dolore e le persone?
“Ho citato l’arte giapponese del kintsugi per evidenziare come le cicatrici possano essere altolocate e placate con dell’oro, così da essere esaltate e mostrate con orgoglio. Ho posto l’enfasi sul fatto che il restauro non è in grado di reintegrare la funzione originaria dell’oggetto ma può fornire la testimonianza tangibile della forza della fragilità e della possibilità di tramutarla in arte. Ho usato questo accostamento perché penso accada così anche con le persone: il dolore ci trafigge e dopo il suo passaggio non siamo più gli stessi ma da quel dolore possiamo trarre vantaggio per renderlo propulsore e rampa da utilizzare per il nostro decollo e per la nostra rinascita”
Al termine dell’introduzione c’è un invito ad iniziare il gioco: che significa?
“Il rimando al gioco è il filo conduttore che, dall’introduzione alle ultime righe di conclusione del libro, fa riferimento al gioco della vita e alla fatica di riuscire a scorgerne il disegno razionale. L’esortazione a iniziare il gioco è legata a questo assunto, se a vincere saremo noi il dolore, lo scopriremo solo leggendo”
Ultima domanda che potrebbe essere la prima: perché questo libro e questo titolo? Come nasce?
“Il libro nasce da una riflessione che non ha pretesa di esaustività in quanto mi rendo conto di essermi cimentata in un’impresa titanica, data la vastità del tema che ho scelto di affrontare. Ho specificato, nella postfazione, che tutti i riferimenti agli autori, alle opere, alle correnti e a tutto ciò che rimanda alla cultura sono fortemente voluti e si augurano di essere ispirazione per ulteriori approfondimenti e ricerche. Non ho voluto sintetizzare secoli di storia ma riportare il pensiero di grandi menti che hanno offerto la propria interpretazione, aggiungendo un personale punto di vista sull’argomento, che spero possa arrivare al cuore delle persone. Il sottotitolo del libro parla infatti di una prospettiva filantropica, ispirata dal sentimento di benevolenza verso gli altri, soprattutto per le loro ferite interiori, che sono le nostre ferite interiori, nessuno escluso. Tale sentimento mi ha spinta a scrivere sull’argomento con l’intento di promuoverne il benessere, perché se c’è un modo per rendere squisito il dolore, è, probabilmente, quello di condividerlo, esternarlo e affrontarlo insieme”.