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“Quella lapide è errata. Io c’ero… e di quella bomba porto ancora addosso le schegge”

La lapide è stata affissa alla Conca. Proprio lì accadde, il 17 marzo 1945, un incidente in cui persero la vita tre ragazzini e altri cinque restarono feriti. Intervista a Umberto Marini, uno dei sopravvissuti

“Quella lapide è parziale, errata, approssimativa, lacunosa. Io c’ero… e di quella bomba porto ancora addosso le schegge”. Parola di Umberto Marini. Quando si racconta un episodio così delicato, occorre fare attenzione. Almeno consultando le persone che quella tragedia hanno vissuto.

Parliamo della lapide affissa, nel 2005, a lato delle scalette di Economia, alla Conca. Proprio lì accadde, il 17 marzo 1945, un incidente in cui persero la vita tre ragazzini e altri cinque restarono, più o meno gravemente, feriti.

Uno dei sopravvissuti è Umberto Marini, giornalista e scrittore, che su quella dolorosa vicenda si sofferma anche nel suo ultimo libro “La Conca e la sua anima” (Futura edizioni), ora sugli scaffali. Umberto porta ancora in petto una scheggia metallica con la quale ha convissuto per oltre sette decenni. Ma ha visto la morte da vicino per diversi mesi, quando era appena ragazzetto.

Sulla lapide (in pagina) sta scritto: “Bambini innocenti investiti dallo scoppio di un ordigno abbandonato dalle truppe, il 17 marzo 1945, in questo luogo persero la vita ORLANDO ANGELI di anni 11, MARCO ERCOLANONI di anni 8, LUCIANO ZUCCHERINI di anni 6. E furono gravemente feriti GIANCARLO OCCHIUCCI di anni 6, ROLANDO SUVIERI di anni 8, UMBERTO MARINI, di anni 12. Il perenne ricordo e la memoria di tutti gli innocenti, vittime inconsapevoli delle guerre, sia di insegnamento alle nuove generazioni, che qui costruiscono il loro futuro. 25 aprile 2005”.

Racconta Marini: “Il nome del primo dei tre bambini deceduti è Rolando Gigli, mentre lì ce n’è uno che non c’entra niente”. Prosegue: “Non so chi sia Orlando Angeli, riportato come primo dei deceduti a seguito dell’incidente. Insomma: una balla. Una colossale disinformazione. Per non dire “mistificazione”. Fatta forse in buona fede, ma assolutamente deprecabile. E cui va posto rimedio”.

“Rolando Gigli abitava il via Elce di Sotto, a due passi dal luogo dello scoppio. Ed è morto davvero, anche se al posto del suo c’è il nome di un altro”.

Prosegue Marini: “Il secondo errore sta nel fatto che i bambini feriti, fra i quali il sottoscritto, furono ben cinque, non tre!”. Inoltre uno di quelli citati, ossia Rolando Suvieri, si fece male, ma non in quel luogo né il quell’occasione”.

“Mancano, poi, tra i feriti i nomi di Vincenzo Gentili (di via dell’Acquedotto), Roberto e Giancarlo Occhiucci, figli del carrettiere di via Eremita, e FRANCO VISCA, di via Santa Elisabetta, tutti di 8 anni”.

Senza contare che anche le età di alcuni di essi sono errate. Il dodicenne Umberto Marini, quasi moribondo, in attesa alla Clinica chirurgica dell’ospedale, ricevette da un frate francescano l’estrema unzione. Fu operato dal professor Fedele Fedeli con l’aiuto del professor Negri che aveva un figlio della stessa età di Umberto. Venne visitato anche da monsignor Vincenzo Marinacci, canonico della cattedrale e buon amico del babbo, sebbene egli fosse un noto mangiapreti.

Rimossa senza difficoltà la scheggia dalla coscia, Umberto Marini rimase per due mesi in ospedale con una scheggia nel polmone (che ancora porta) e si salvò grazie alla penicillina, donata dal soldato “alleato” Toby Turner.

Dice Umberto: “Con quella scheggia nel polmone ci facciamo compagnia da 75 anni. Mi crea qualche difficoltà solo ai controlli negli aeroporti, per dover dare giustificazioni e dettagli molto privati”.

Ma come accadde?

“Stavo andando a comprare una bottiglietta di inchiostro di china  per un ufficiale medico inglese e mi trovai investito dai frammenti di questa bomba”.

Venendo a quindici anni fa, Marini rammenta che, invitato alla scopertura della lapide nel 2005, si irritò per quegli errori e quelle insopportabili omissioni, tanto da andarsene rinunciando a intervenire. Protestò anche col sindaco dell’epoca, cui quei fatti non risultavano, anche per ragioni anagrafiche.

Insomma: la storia non si racconta sbagliando nomi e omettendone altri, né con colpevoli approssimazioni ed errori anagrafici.

I giornali dell’epoca riferirono l’evento. Il Giornale dell’Umbria lo fece nell’edizione di domenica 18 marzo 1945. Lo stesso fece il Corriere dell’Umbria, anche se con qualche inesattezza.

Ma, tornando al Comune, prima di incidere su pietra e raccontare in modo sbagliato, “a perenne ricordo e memoria”, avrebbe potuto e dovuto consultare i sopravvissuti, in primis Umberto Marini.

Ora, di quegli “innocenti” omessi si perderà memoria.

Giustizia vorrebbe che si rimettessero a posto le cose.

L’Inviato Cittadino fa appello al sindaco Romizi e all’Assessore alla Cultura  Leonardo Varasano, anche nella veste di studioso di storia contemporanea: si trovi uno sponsor e si rifaccia quella lapide in termini di verità storica. Lasciando, magari, anche quella errata che ha ormai acquisito una propria storicità.

Non si tratta di un semplice “errata corrige”, ma della restituzione di un evento storico perugino alla verità.

Di quell’episodio ricorre il 75.mo anniversario. La lapide fu collocata 15 anni fa. Ma non si è finora trovato modo di correggerla e integrarla. Sarebbe giunta l’ora. Con l’occasione si potrebbe anche ricordare che quell’ordigno abbandonato apparteneva alle truppe tedesche in caotica ritirata.

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