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Ed ecco la vera historia di come, dove e quando furono trovati i resti umani del pittore Pietro Vannucci, detto il Perugino

Ed ecco la vera historia di come, dove e quando furono trovati i resti umani del pittore Pietro Vannucci, detto il Perugino.

Ne parlammo col fontignanese Ciro Antonio Seghetta che ci raccontò come sia stato Angelo Caproni, possidente e agronomo, amico di suo nonno Francesco Calzoni, lo scopritore di quei miseri resti, sopravvissuti per diversi secoli all’oltraggio del tempo.

Accadde in occasione di lavori per l’allargamento di una strada.

Fu avanzata da un confinante la richiesta di cedere una striscia di terra per allargare la strada. Trattandosi di una concessione ragionevole, il proprietario cedette volentieri la porzione di terreno necessaria.

Per fare questo si dovette rimuovere una grossa pietra sulla quale impattava la ruota del legnetto padronale. Era una scomodità alla quale si doveva porre rimedio.

Ed ecco spuntare sotto quella grossa pietra un coccio rotto e, vicino ad esso, avvolte in un telo di lino, delle ossa, tra le quali si riconoscevano le falangi delle mani (che avranno stretto chissà quanti pennelli).

Erano le ore 10 del 3 maggio 1925, la prima domenica del mese. 

Non si trattava propriamente di una tomba, ma di una sepoltura realizzata in modo abborracciato e frettoloso. Gli allievi di bottega (peraltro autori di affreschi all’interno della chiesina dell’Annunziata dove riposano i resti del Perugino), subito dopo il decesso, dovettero afferrare i lembi del lenzuolo sul quale era adagiato il Maestro senza toccarlo, per evitare il contagio della peste.

Come, probabilmente, sono andate le cose. I ragazzi di bottega lo avranno portato in fondo a quella scarpata, messo dentro una buca sommariamente scavata, ricoprendo il tutto con la pietra lunga in travertino e un po’ di terra. Salvo, poi, darsela a gambe alla spicciolata.

Dov’è adesso quella pietra in travertino? Non è scomparsa. Ma è inglobata nel muro di cinta della abitazione del fontignanese Ciro Antonio Seghetta, a qualche decina di metri dal luogo del ritrovamento.

Ciotolini coi colori. Insieme ai resti umani (ossicini e a qualche osso lungo), furono repertati dei pentolini contenenti colori, risalenti al 1524/25. “Tra essi un rosso di Siena ancora attivo”, ha testimoniato Seghetta.

Quel capo tondo come una mela era proprio di Pietro Perugino. E corrisponde alla fisiognomica dell’autoritratto. Anche le date corrispondono. I reperti, esaminati a Perugia col procedimento del Carbonio 14, confermarono la datazione presunta. “Il teschio del Perugino – ci raccontò Seghetta – fu messo in mano a mia madre Marina, ancora ragazzina. A distanza di anni, ricordando la spaventosa esperienza, la mamma diceva che quel capo era perfettamente tondo, proprio come una mela”.

Ed effettivamente l’autoritratto, alla Sala delle Udienze al Cambio, conferma questa caratteristica somatica della testa a mela che lo stesso egregius pictor non ebbe alcun imbarazzo ad accreditarsi come caratteristica somatica distintiva.

La deposizione delle ossa nell’urna attuale, datata 1929, dentro la chiesa fontignanese dell’Annunziata, fu celebrata con la visita dell’allora ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. Ecco la vera storia del ritrovamento e della collocazione dei resti umani del divin pittore.

La foto in pagina ritrae il pittore Ferruccio Ramadori cui, qualche anno fa, fu offerta la possibilità di tenere una mostra nella chiesa dell’Annunziata, dove giacciono i resti mortali dell’antico Maestro. Rinnovando il filo rosso di continuità che lega gli artisti di oggi e quelli dell’altroieri.

La vera storia del rinvenimento delle ossa del Perugino

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