L' "Urlo" di Munch sotto le cure di esperti perugini del Molab che deve risolverne il degrado dei colori
Il Molab (laboratorio mobile) perugino del CNR si è recato in Norvegia per prendersi cura della strepitosa opera d'arte
La radiazione luminosa non è alleata dei dipinti: spesso un’esposizione prolungata alla luce finisce col danneggiare irreparabilmente i colori. Ancora peggio se l’opera è direttamente colpita dai raggi solari, anche se questo può accadere, per ingenuità, nelle nostre case, ma non certamente nei musei. È successo anche al notissimo “Urlo” di Edvard Munch, ora sottoposto alle cure del Molab. Perché, se Maometto non va alla montagna, è la montagna ad andare da Maometto. Come è accaduto in questo caso in cui il Molab (laboratorio mobile) perugino del CNR si è recato in Norvegia per prendersi cura della strepitosa e angosciante opera di fama mondiale. Un’opera sintonica con gli studi freudiani indagatori del buio delle coscienze e dell’inquietudine.
Il fatto è che la luce ha fatto svanire e ingrigire i colori. Da qui la decisione di togliere dall’esposizione il quadro e di svolgere indagini accurate, volte ad attuare possibili interventi. Dell’opera, oltre agli schizzi, esistono almeno quattro versioni. Quella esposta al museo di Oslo – ora sotto le cure del Molab – ha avuto vita travagliata, essendo stata rubata per ben due volte. E adesso si aggiunge il deprecabile fenomeno della mutazione dei colori. Realizzata in olio, tempera e pastello su cartone, l’Urlo è un mix di materiali poco stabili.
La notizia è di sicuro interesse e di elevato valore tecnologico. Si tratta, infatti, di individuare – attraverso complesse indagini ad alta tecnologia – la natura dei pigmenti usati e il loro progressivo decadimento. Critica, soprattutto, la situazione dei gialli e dei rossi, realizzati con materiali diversi e instabili. Confidiamo che l’alta professionalità dei tecnici perugini riesca a venire a capo della delicatissima questione.