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INVIATO CITTADINO Sant’Antonio abate apre il Carnevale: le origini del Bartoccio

L'inviato cittadino ci parla delle caratteristiche della maschera perugina e delle golosità alimentari ad essa legate

Sant’Antonio abate (17 gennaio) apre il Carnevale… ma quest’anno c’è poco da folleggiare. A parte le consolatorie golosità alimentari che possono compensare le (troppe) amarezze suscitate dalla pandemia. Ma sul tema avremo modo di tornare.

Mentre ci piace ricordare brevemente la maschera perugina del Bartoccio (ve ne propongo in pagina l’effige realizzata da Claudio Ferracci).

Ma chi è Bartoccio? Una maschera seicentesca di contadino benestante, vilano del pian del Tevere, rappresentato in tenuta pseudo-elegante, con violino e tanto di bastone nodoso con cui mena di brutto. In senso metaforico, s’intende. Uno che non le manda a dire (esiste, fra l’altro, a Ponte San Giovanni, via del Bartoccio, in omaggio alla sua figura sempre popolare).

Sono infatti note le “bartocciate” (variante delle romanesche “pasquinate”), sapidi scritti vergati sopra cartigli, appesi ai portoni di edifici pubblici e privati. Per essere letti da quanta più gente possibile. Finendo, poi, col diventare un genere letterario, da esercitazione colta.

Il contenuto di questi “cartocci”? Interpretazioni, in dialetto (e in rima) di umori e malumori del popolo minuto. Ironia pesante contro l’aumento del costo del vino, dell’esosità dei governanti che martellano la gente di tasse, o contro categorie privilegiate, quali preti, avvocati, medici e borghesi. E dire che gli autori, attraverso i secoli, sono stati proprio fior di borghesi.

Solo per fare qualche nome. Giuseppe Dell’Uomo, Francesco Stangolini, Orazio Tramontani (c’è una strada a lui intestata in Ponte San Giovanni, dove ha sede la pro Ponte). Ma sono di analogo tenore anche i pungenti sonetti di Ruggero Torelli (strada dove, non a caso, vive l’Inviato Cittadino), o le “vassallate” di Don Pavana, al secolo Luigi Monti [(RI)LETTI PER VOI Un piccolo grande libro che riporta alla ribalta le "Vassallate" di Don Pavana (perugiatoday.it)].

Lo studioso Luigi Maria Reale ne pubblicò (1999, dall’editore perugino Guerra) una corposa silloge, preceduta da uno studio di rango.

In onore del Bartoccio, si possono gustare le “bartocciate dolci” di carnevale, frittelle con uvetta e pinoli. Meriterebbero un protocollo ufficiale, come il torcolo di San Costanzo.

Ma veniamo alla dibattuta origine del termine “carnevale”. Si continua a leggere una balla clamorosa per cui deriverebbe da “carnem levare”, in relazione alla sospensione dell’uso della carne in tavola.

Doppia scempiaggine.

Primo perché l’astensione dalle carni vige in quaresima, e non in carnevale.

Secondo perché in latino “levare” non significa “togliere”, ma “sollevare”.

Se proprio la vogliamo giocare sul colto, si potrebbe pensare a un’espressione rivolta alla carne, alla quale di dice VALE!, ossia (“ciao, stammi bene”!) pensando a un addio che, come si diceva, riguarda invece la quaresima.

Propongo invece l’origine da CARMEN LEVARE, ossia “innalzare un canto” (con fenomeni di linguistica un po’ complessi). In questo caso, il senso ci sarebbe, poiché il carnevale prevede festosità, cori e danze.

Impossibile non pensare al trescone o al tacco-e-punta, celebrati con religioso rispetto della tradizione vocal-musicale dall’indimenticabile amico Giuseppe Fioroni.

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