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Martedì, 16 Aprile 2024
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INVIATO CITTADINO Maggio fra detti e contraddetti. Dialetto e antropologia perugina. Meteo, sesso, lavoro, religiosità

Maggio fra detti e contraddetti. Dialetto e antropologia perugina. Meteo, sesso, lavoro, religiosità. Partiamo dal detto meteorologico che lega stagione e salute. Il brocardo ammonisce: “Aprile, non ti scoprire. Maggio… vacce adaggio!”. Il riferimento è al fatto che la bella stagione invita a vestirsi alla leggera mentre, in prima mattinata e di sera, la temperatura si abbassa notevolmente facendo rischiare qualche malanno. Da qui il detto che invita a “nné scappì n girigiòla”, ossia a “non uscire vestito troppo alla leggera” (sull’espressione tornerò con una nota specifica). Rischio evidenziato (tra parentesi) anche dal detto “Marzo, ogni villan va scalzo”. Che nella sapienza popolare veniva concluso con “… ma s’amala!”.

Lavoro e festa che lo celebra. Il 1° Maggio è da sempre giorno in cui si celebra il lavoro. Mediante sfilate, comizi, manifestazioni di partiti e sindacati. Ricordo carri agricoli e poi trattori, al tempo della mezzadria. Almeno un tempo. Oggi c’è il Concertone e poco altro. Magari si ricordano opportunamente, stigmatizzandoli, gli incidenti sul lavoro che sono in preoccupante aumento. Ma la retorica delle bandiere rosse e di quelle bianche, Peppone e don Camillo, PCI e DC sono ormai confinati nella sezione ricordi. Il mese della Madonna. La chiesa cattolica dedica alla Vergine Santissima il mese di maggio, festeggiato con funzioni, messe, rosari, processioni. Tra i fiori, è la rosa ad essere assurta a simbolo mariano. Come anche risulta essere fiore in auge per la festa di Santa Rita, la santa degli impossibili
[mia moglie Rita è la prova vivente della pazienza amorevole… da decorare!]. 

È ovvio anche il significato di rigenerazione e ripresa del ciclo vitale. Le feste dedicate a divinità femminili vigevano fin dall’antico (Proserpina, Maia, da cui forse deriva Maggio) si sono trasformate nel corso dei secoli in celebrazioni rivolte alla Madonna, forme di devozione popolare che, nel tempo, sono state in gran parte accettate e riconosciute dalla chiesa. Sebbene voltate al sacro cristiano. Rosari e fioretti. Non si dimentichi poi che “rosario” deriva proprio da “rosa”. Noti i fioretti, che vengono offerti alla Madonna. Si trattava di piccoli sacrifici, impegni, proponimenti promessi a Maria Vergine come se le offrissimo un piccolo fiore di campo. Ricordo che un tempo mi era facilissimo fare fioretti. Non perché fossi più buono (o meno ‘cattivo’ di oggi), ma perché le rinunce si compivano senza grande sforzo. Tanta era la penuria di cose buone. Come cioccolata ed altre di quelle che in perugino si chiamano “niccarìe”, ossia “golosità”.

Tradizioni e detti del ‘piantà maggio’. Col risveglio della natura, degli animali… e fra essi il bipede umano, si afferma la forza rigeneratrice dell’amore e… del sesso. L’origine pare sia da ricondurre al “palo” (un albero diramato con in cima dei fiocchi) che si piantava (o si conficcava in terra) in occasione della nascita di un bambino. Circostanza in cui la famiglia offriva un lauto (?) pranzo a parenti e amici. Non a caso, il detto perugino “piantà maggio” significa congiungersi carnalmente [l’indimenticabile amico Marco Vergoni ne ha realizzato lo spiritoso disegno in pagina per il mio “… e lascia sta i santi” (Aguaplano editore)]. 

Da bambino, per alleggerire il tema, ricordo che facevano riferimento alla ginestra, che in dialetto si chiama “maggio”. Effettivamente non mi quadrava il fatto che si
dovessero piantare le ginestre che crescono da sole, anche in terreni aridi e scarpate ghiaiose, e che proprio in maggio lussureggiano con fioriture di strepitoso giallo Van Gogh. Crescendo, ho capito il senso della metafora. Che sta per “seminare” in senso generativo. E, per parte mia, ritengo di aver “piantato” a sufficienza.

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