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INVIATO CITTADINO Galaverna, ghiaccio e brina fra lingua e antropologia perugina

Queste mattinate di gelo impongono una riflessione sul termine

Galaverna. Ghiaccio e brina fra lingua e antropologia perugina. Queste mattinate di gelo impongono una riflessione sul termine.

GALAVERNA sta per “ghiaccio, clima freddissimo” e indica in genere una brinata molto intensa e del gelo formatosi sulla vegetazione, con danni spesso irreversibili alla pianta. 

Per dissuadere qualcuno dall’andare in giro, col rischio di prendere malanni, lo si apostrofa con la battuta “dua vè có sta galaverna”? (“dove vai con questo ghiaccio”?).

Forse il termine è composto da ‘caligo'= ‘nebbia' (da cala, di origine germanica') e dal latino ‘hibernus ('inverno', ma anche 'gelo').

C’è chi - come Ruggero Orfei, fratello dell’artista Bruno - parla di “gala” (merletto) invernale, come se la stagione si facesse bella con pizzo e trina di ghiaccio. 

L’Inviato Cittadino avanza un’origine colta partendo dal greco “gala”= latte, in riferimento al colore lattiginoso, biancastro del gelo e “inverno”. Ma cosa c’entra la lingua perugina? Da tenere presente che la parola (come “c/galaverna”) è entrata nell’italiano standard. Comunque è parola di uso poco frequente, mentre da noi è ricorrente.

C’è chi mi ricorda che, per indicare un freddo molto intenso (altrove si direbbe “freddo cane” o “freddo boia”), nel perugino  lo si definisce “putano”, nel senso di “terribile”, come  nell’espressione “ògge fa n freddo putano”. Ovvia la sfumatura di carattere spregiativo.

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