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Manu, Salone Umbri-Etruschi, la città incontra l’artista statunitense George Cochrane e il suo Inferno

L'Inferno dantesco, esposto in copia nella mostra al Manu, è stato interamente scritto e illustrato a mano, con un lavoro protrattosi per ben sette anni

Manu, Salone Umbri-Etruschi, la città incontra l’artista statunitense George Cochrane e il suo Inferno.

Un incontro preceduto dalla conoscenza con l’Inviato Cittadino cui il professor Carlo Pulsoni ha presentato l’illustre ospite, qui convenuto in occasione della mostra “Charun demonio e l’immaginario mitologico dantesco”. Con loro anche Benedetta Risolo, responsabile delle relazioni internazionali dell’IID (Istituto Italiano Design) che - nella stessa location - ha appena tenuto una splendida sfilata “La moda…divina”, un fashion show di sicuro interesse. Iniziativa che ha riscosso notevole successo per i brillanti esiti didattici e… spettacolari. Numerosi gli studenti cinesi ansiosi di apprendere i segreti del Made in Italy.

Cochrane, in privato colloquio, riferisce del suo apprendimento della lingua italiana, che parla perfettamente.

Poi l’ufficialità dell’incontro. Modera la conversazione Maria Angela Turchetti, direttrice del museo e dell’Ipogeo dei Volumni. Con l’ospite anche Carlo Pulsoni, co-curatore, insieme alla stessa Turchetti e all’archeologa Tiziana Caponi, della mostra, allestita al MANU fino al 30 ottobre.

La prima domanda diretta della direttrice del Manu suona: “Perché Dante?”.

L’artista statunitense George Cochrane e il suo Inferno

Cochrane parte da lontano e riferisce di un suo progetto, risalente al 2008, quando voltò i 24 libri dei poemi omerici in un viaggio di 24 ore, alla maniera di Joyce. Lavoro tuttora in fieri. Con un impegno e una dedizione degni di un amanuense medievale. Privatamente l’artista mi dice di aver recuperato una personale dimensione del tempo, asincrona coi ritmi frenetici dei tempi d’oggi.

Perché è da sapere che Cochrane, Docente di arte alla Fairleigh Dickinson University di Madison, New Jersey, è amante dei linguaggi in ardito mix sperimentale: usa mescolare jazz e Bob Dylan, con capolavori della letteratura mondiale. Proprio in Joyce ha scoperto l’affermazione che Dante sarebbe più grande di Shakespeare. Così come – osserva Pulsoni – Ezra Pound (un habitué di Perugia, dove prendeva il cappuccino in pigiama al Ferrari) fece conoscere Dante a Eliot.

Da qui lo stimolo a studiare, comprendere, approfondire e pensare una grossa operazione in vista del settimo centenario.

Poi tante risposte sul procedimento tecnico inventato per scrivere in pagina le terzine dantesche, le contaminazioni col fumetto (influenze dai Marvel a Corto Maltese), le traversie editoriali.

L’“Inferno dantesco”, esposto in copia nella mostra al Manu, è stato interamente scritto e illustrato a mano, con un lavoro protrattosi per ben sette anni.

Interventi anche da parte dei ragazzi le cui opere, partecipanti al premio “Romeo Gallenga Stuart”, sono in mostra al Manu.

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