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INVIATO CITTADINO Claudio Spinelli ha tradotto Dante in perugino

Una circostanza asserita, quasi certa, ma non provata. Spieghiamo come stanno le cose

Claudio Spinelli ha tradotto Dante in perugino. Una circostanza asserita, quasi certa, ma non provata. Spieghiamo come stanno le cose.

Nove libri di poesia, raccolti nell’opera omnia, oltre a un’autoantologia “’L mèj’ del mèjo” (1980-1996).

Ma, oltre alle opere edite, ci sono altre “promesse mantenute”, sulle quali alcuni affezionati lettori ci sollecitano ad indagare. Forse la domanda muove dalla ricorrenza del settimo centenario dantesco.

Come era solito affermare in pubblico e in privato, Claudio Spinelli credeva alla forza espressiva del dialetto, non solo in chiave spicciola e divertente, ma anche sul versante, per così dire, drammatico. Senza dimenticare il portato di cultura che spesso si cela sotto il dire popolare. E la Commedia poteva trovare linfa nella sensibilità del poeta.

Già qualche anno fa raccogliemmo un “rumor”, seguito da successive segnalazioni e riscontri, in ordine ad una possibile versione in perugino della Commedia dantesca. O, quanto meno, all’abbozzo di una parte.

Il dottor Giulio Giungi, assiduo frequentatore dei “Giovedì della Dante”, ci ha rappresentato un ricordo puntuale. Durante una conferenza, tenuta a Palazzo Gallenga per la benemerita associazione culturale, Claudio ebbe a proferire un’affermazione e a prendere un impegno preciso: nel corso della conversazione successiva, avrebbe letto dei passi di quella “Commedia” che il Boccaccio volle definire “Divina”. Si trattava, evidentemente, di una “sfida” che il poeta era pronto a sostenere. Ma la conferenza promessa non fu mai tenuta, a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute del poeta, deceduto nel dicembre 2002, quasi vent’anni fa.

Anche il professor Mario Olivieri, all’epoca responsabile della “Dante Alighieri”, ci assicurò di aver ben presente la circostanza. Tanto più che l’impegno del poeta fece seguito ad un’infuocata difesa delle potenzialità espressive del dialetto. Insomma: dietro alla promessa doveva certamente esserci un lavoro già eseguito.

Conoscendo un po’ Claudio, ho ragione di ritenere che, se si era sbilanciato con una promessa da mantenere a breve termine, è ovvio che doveva già avere nel cassetto il lavoro promesso. Spinelli amava le sfide e questo tentativo di traduzione in dialetto perugino del massimo testo poetico della letteratura italiana doveva particolarmente intrigarlo.

Per chiarirci meglio la questione, contattammo l’amico Massimo Pifarotti, strettissimo collaboratore di Spinelli all’epoca in cui il poeta fu Presidente dell’Assemblea Regionale dell’Umbria. Egli ci ha finalmente assicurato, con assoluta convinzione, che Claudio lavorò su Dante e gliene lesse dei passi.

Analoga certezza ribadita con forza dal figlio Daniele, stimato avvocato, il quale racconta: “Mio padre mi lesse più volte dei passi del Prologo dell’Inferno, reso in endecasillabi quasi perfetti. Aveva scritto a mano questa traduzione su cinque o sei fogli, già qualche anno prima di morire”.

La famiglia, dopo la morte di Claudio, mi consegnò delle carte contenenti alcuni inediti, che pubblicai nelle antologie dell’Officina del Dialetto. Ma di Dante non trovai segno.

Dunque, è esistita certamente una versione parziale spinelliana in poesia della Divina Commedia in dialetto perugino. Ma se ne sono perse le tracce.

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