INVIATO CITTADINO C’era una volta il Lanificio Bonucci di Ponte Felcino
Oggi è una cattedrale ‘sconsacrata’, profanata da vandali e ladri
Ha dato lavoro e benessere a generazioni di ponteggiani.
Dall’Ottocento, quando era semplice manifattura (con Leopoldo Bonucci e poi con suo figlio Alessandro, affiancato dal fratello Leone), fino alla trasformazione novecentesca in fabbrica modello.
Guelpa, una famiglia di imprenditori illuminati. Nel 1919, il Lanificio fu rilevato dalla Società Industrie Tessili Italiane (SITI) di Torino, finché l’anno successivo, nel 1920, la direzione passò a Silvio Guelpa, che la tenne fino al 1950.
Dopo qualche passaggio di mano, e una inarrestabile decadenza, si giunse alla messa in liquidazione del 1996.
Ora quell’edificio è negletto e in condizioni di irrefrenabile degrado.
(Foto R. Paltracca)
Ci mandano degli scatti (realizzati dall'esterno), ci segnalano invasioni e vandalismi.
Ambienti immensi, svuotati di macchinari e arredi. Il vuoto assoluto, desolato e desolante.
Il Lanificio è stato preda dei ladri. Ci sono andati col camion. In pieno giorno. Ma cosa c’era da rubare?
L’unico materiale di (elevato) valore era costituito dal rame. Avvolgimenti, linee, pannelli murali fatti collocare da Manrico per abbellire pareti e ambienti.
E i ladri di rame, da specialisti del ramo, ci sono andati giù pesanti. Arraffando e portando via addirittura le calate e i tubi.
Hanno avuto la sfacciataggine di andarci con un mezzo pesante.
Finalmente i lavori! Debbono aver pensato quanti hanno visto quel movimento di mezzi. Dato che il Lanificio è in vendita. E sai mai se qualche orientale danaroso, con una valigia di banconote, compra tutto e riqualifica? Illusione.
La triste realtà è emersa in seguito, quando qualcuno è andato a vedere all’interno.
Ma ormai non c’è bisogno di entrare per vedere un luogo ridotto all’ecce homo.
C’è chi, passando, si è divertito a tirare sassate contro i vetri. Altri, penetrati all’interno, hanno sfondato finestre, smontato infissi e imbrattato di scritte.
Qualche anno fa, si tentò un recupero. Il Teatro di Sacco di Roberto Biselli ci realizzò uno spettacolo sulla Shoà. Ci recitava anche Eleonora Mosconi, vedova dell’amico Sergio Ragni, uomo intriso di passione civile e di cultura teatrale.
Fu un esperimento che non si è ripetuto. Purtroppo.
Tutto questo genera tristezza. Perché tante famiglie hanno fatto casa, mantenuti i figli agli studi, elevato il tenore di vita, proprio grazie al Lanificio. E ai Guelpa. Cui, oltre all’intestazione della Sala ex Cinema Eden e della piazza, si dovrebbe riservare un pensiero riconoscente.
Rendendo onore anche a quel luogo che i ponteggiani chiamavano semplicemente “la Fabbrica”.
Strettamente personale. Questo degrado mi tocca particolarmente perché al Lanificio lavorarono la Lina e Marsilio, i genitori della mia compagna di vita. Ne parlavano con rispetto, perfino con deferenza. Dovevano al Lanificio il loro relativo benessere di operai che avevano mandato i figli a scuola. E, per quei tempi, non era cosa da poco.
Intervistai mia suocera per un documentario in tema. Raccontò di quando, presentatasi (appena quattordicenne) per chiedere lavoro a Silvio Guelpa, lui osservò che era troppo gracilina. Lei, con prontezza, e manifestando la propria condizione di necessità, rispose: So cinina, ma la bocca ce l’ho grande. E Lui la prese a lavorare.