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INDISCREZIONI PERUGINE. Quando, con Giulio Nascimbeni, facevamo arrabbiare Eugenio Scalfari. Un ricordo della gentilezza e della tolleranza del grande giornalista

INDISCREZIONI PERUGINE. Quando, con Giulio Nascimbeni, facevamo arrabbiare Eugenio Scalfari. Un ricordo della gentilezza e della tolleranza del grande giornalista.

Lo sanno in pochi ma, per diverso tempo, l’Inviato Cittadino è stato collaboratore (c’è chi dice “ghostwriter”, ma è troppo) del grande giornalista Giulio Nascimbeni.

Costui, dopo il pensionamento, teneva una seguitissima rubrica dal titolo “Scuola di Giornalismo” su “Sette”, Magazine del Corriere della Sera.

Nascimbeni era stato punta di diamante del settore cultura del giornale di Via Solferino. Sua l’ultima intervista a George Simenon, che (mi riferì) aveva voluto concederla solo a lui. Giulio mi raccontò di essersi trovato, non casualmente, in casa Montale, quando il poeta di “Ossi di seppia” ricevette notizia dell’assegnazione del Nobel per la Letteratura. Il giornalista ne era stato preavvertito ed era pronto a raccogliere le prime impressioni del grande poeta, suo amico personale. Di cui ebbe a scrivere un’apprezzata biografia. Essendo peraltro anche lui stesso poeta di riconosciuta valentia.

Era tanto amico del poeta ligure che mi confidò di essere uno dei pochissimi cui Montale aveva donato delle sue opere pittoriche che non aveva mostrato al pubblico. E mi raccontava pure di suo figlio Enrico, artista, musicista, scrittore. Ci dialogavo volentieri. Aveva quasi l’età di mio padre che avevo perso troppo giovane. Condividevamo anche interessi di carattere filologico e antiquario, data la comune formazione classicistica.

Ora, accadde che ebbi a scrivere qualche volta a Nascimbeni suggerendo spunti per la rubrica “Scuola di Giornalismo”.

Giulio, che aveva una certa età e seguiva relativamente i giornali, mi prese in simpatia e chiese una collaborazione, da tenere riservata. Il compenso lo stabiliva in misura unilaterale, mandandomi un “vaglia” di tanto in tanto. La sua modernità era relativa. Non sapeva usare la posta elettronica e dovevo mandargli il cartaceo. Mi riferiva di battere a macchina la nota e di inviarla (addirittura!) col fax. Scendeva sotto casa dal tabaccaio e spediva al Corriere. Ma era buono e generoso. Quando non mi trovava in casa, parlava con mia moglie e le diceva: “Sa che ho ancora tutti i capelli neri?”, o si confidava sulla sua solitudine. A me raccontava della sua delusione quando il portiere del giornale un volta gli chiese cosa voleva, domandandogli “Nascimbeni, chi?”. Dopo che aveva militato con onore, per mezzo secolo, nella pattuglia scelta del Corrierone.

Per la collaborazione, gli mandavo delle note in cui ponevo in evidenza errori ed omissioni su servizi usciti in vari giornali nazionali. Certe volte, Giulio faceva il mio nome e cognome veri. A volte mi epitetava con soprannomi. Quello che più mi piaceva era “doctor subtilis”, con riferimento al filosofo scozzese Giovanni Duns Scoto, in ragione delle argomentazioni puntuali, perfino cavillose, cui sottoponevo i testi da “mettere alla berlina”. 

Giulio apprezzava particolarmente le critiche a Eugenio Scalfari. Ne esaminavo con la lente i lunghi editoriali domenicali su Repubblica e, generalmente, scovavo qualche imprecisione.

Giulio ne era entusiasta. Non so se in ragione di cattivi rapporti personali con Scalfari o perché la critica rientrava nella lotta tra i due maggiori quotidiani nazionali. Mi sentivo come “nanus in humeris gigantis instans”, ma me ne compiacevo.

Sta di fatto che Nascimbeni mi rivelò di essere venuto a conoscenza dell’irritazione di Scalfari per quelle punture di spillo.

Accadde una volta che Eugenio Scalfari venne a Perugia per un incontro nell’Aula Magna di via Innamorati. Tenne una grande lezione di giornalismo. Ricordo una battuta. Ebbe a dire: “La notizia di una cannellina che non funziona al giardinetto di quartiere vale quanto un servizio di politica internazionale”. Tenni conto di quella riflessione. Ispirando il mio lavoro giornalistico al racconto della città, anche nei suoi aspetti apparentemente minimi.

Alla fine della relazione, un po’ titubante, mi avvicinai a Scalfari per complimentarmi. Mi presentai (sfacciatamente?) come “doctor subtilis”. Mi rispose sorridendo: “Ah, è lei?”. Con fare quasi complice. Un vero signore.

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