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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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INVIATO CITTADINO Il Ferragosto a Monteluce, tra rievocazioni e ricordi

La memoria artistico antropologica di Mauro Monella

Il Ferragosto a Monteluce, tra rievocazioni e ricordi. La memoria storico-artistico-antropologica di Mauro Monella. Si ripete anche quest’anno la tradizione. Il Ferragosto rende onore al proprio nome. Non solo “Feriae Augusti” (questa la corretta derivazione dal mondo romano e dal regime augusteo), ma un vero agosto “di ferro”, date le temperature correnti.

Per noi credenti e per i monteluciani in particolare, il ferragosto è anche solennità liturgica, ricordando l’Assunzione in cielo di Maria Vergine. A Monteluce, la “Luminaria magna”, stasera. Se ne temeva l’annullamento, ma don Nicola Allevi ha preparato il carro con la sacra icona che verrà trasportata dalla cattedrale alla chiesa di Monteluce. Fosse un modo per esorcizzare il corona, ponendosi sotto la divina protezione della Vergine Santissima Immacolata! E poi la classica lotteria, la corale, il cocomero (sempre di meno) e i fischietti.

Il Ferragosto monteluciano è soprattutto basilico “gentile”, un tempo donato in coccetta dall’innamorato a promettere alla sua bella amore eterno e… matrimonio. Dall’antico, lo preparavano le suorucce clarisse di Sant’Erminio. Giacomo Santucci, ma anche Carlo Vittorio Bianchi nella sua “Ballata fra due guerre”, ne ricordavano gli odorosi effluvi. Oltre, naturalmente, alla fiera (oggi praticamente finita) e la “magnata” al Toppo. Una volta si consumavano torta al testo, pollo all’arrabbiata, baccalà in umido, pomodori ripieni, oca arrosto, patate, insalata, cocomero. E si teneva il mercato del bestiame. Perché il bove era un egregio sostituto del trattore (ancora quasi inesistente), non andava a gasolio, ma a erba e… non inquinava. Anzi: le deiezioni di buoi, vitelli, vaccine, cavalli e ovini (in numero, si dice, di almeno 5000) costituivano la ricompensa per il padrone del terreno. Le raccoglieva e le usava come fertilizzante, rivendendolo anche, se gli avanzava.

Ecco come tratteggia Mons Luci(s) – Monte del boschetto sacro o Monte di Luce – l’amico architetto Mauro Monella: “Monteluce diventa irresistibile, un luogo magnetico di incontro amato da tutti”. Prosegue: “Nella duecentesca Chiesa è custodita sopra l’altare l’immagine dell’Incoronazione della Vergine Maria, da cui trae origine la festa del 15 agosto. Un’opera commissionata a Raffaello Sanzio dalle monache clarisse, ma da lui eseguita solo in parte. È qui, anche se in copia (l’originale sta in Vaticano) e suscita stupore l’immagine della Madonna ascesa in cielo con gli apostoli a bocca aperta, riuniti presso il sepolcro fiorito, con sbigottita meraviglia”.

Aggiunge: “Non è un caso che sulla piazza di Monteluce faccia bella mostra di sé il rosone della Chiesa dell’ex monastero delle Clarisse. La sua geometria incuriosisce... È un vero, prezioso compendio astronomico: un grande cerchio solare che racchiude sette cerchi più piccoli, simboleggianti i Sette antichi pianeti. Non è un caso che il bel rosone campeggi lì: infatti prelude a un tracciato tradizionale, una linea ideale che guarda a est fino al monte Subasio, l’oriente di Dante, attraversando in rettilineo tre note colline: Monteluce, Monterone, Montevile, rasentando la templare chiesa di San Bevignate. Un filotto da biliardo! Quante vite ha visto l’occhio  magico di quel Rosone”. Descrizione poetico-architettonica di rango.

Sotto quel rosone, nella loggetta ai piedi del campanile, avverrà come al solito la distribuzione del basilico “gentile” (foto dal mio archivio personale). Il rito della distribuzione del basilico richiama il mito di papa Leone IV che riesce a scacciare il drago Basilisco (una specie di Sfinge, divoratrice di uomini) semplicemente agitando un rametto di basilico. Basilikòn (genere neutro) che, derivando dal greco antico, significa “erba degna di un re” e addirittura “magica”. Un dipinto murale a San Matteo degli Armeni ce ne rende visiva testimonianza.

Oltre al basilico (da odorare, più che da utilizzare in cucina) i giovanotti donavano alla fidanzata il torcolino all’anice, morbido e profumato. Era una comunione golosa che univa stomaco e cuore.

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