Figure e figuri della peruginità ne “La città dai giorni bianchi”, il libro postumo di Dante Magnini
Il libro costituisce la summa dei precedenti e propone un modo di stare al mondo che fu di Perugia e dei perugini
L’ultimo libro postumo di Dante Magnini, “La città dai giorni bianchi” (Futura edizioni) racconta figure e figuri della peruginità.
Conoscevamo, e rileggiamo ogni tanto, le opere intitolate “Lunario perugino” e due volumi di storia: “Perugia nell’età della Patria: 1915-1940” e “Questa nostra storia”, che raccontano la vita in città nel primo e nel secondo dopoguerra. Tutti pubblicati dall’editrice Volumnia, di cui il padre della Famiglia Perugina fu cofondatore.
I libri di carattere storico costituiscono l’ideale prosecuzione della “Storia di Perugia” del Bonazzi e della “Perugia della Bell’Epoca” di Uguccione Ranieri di Sorbello.
Qualche anno fa, nei suoi cassetti, i familiari hanno rinvenuto una serie di lavori inediti. Uno di essi, a giudicare dalla cura con cui era stato artigianalmente rilegato, doveva essergli particolarmente caro. E non hanno esitato a darlo alle stampe. Impreziosendolo coi disegni della nipote Laura Bertinelli. S’intitola “Controfiaba”: una raccolta di raffinati apologhi sulla condizione umana, intrisa di spirito e di umanità. Lo presentammo al Teatro del Pavone con l’Accademia del Dónca.
Oggi scopro questo altro e definitivo libro, prefazionato con affetto dalla figlia Letizia. La quale ci racconta come il padre abbia dedicato a questo lavoro gli ultimi anni della sua vita, riscrivendo, correggendo, mettendo quel testo in bella copia sui quadernoni da consegnare alla dattilografa. La morte lo colse prima del “si stampi” e quegli appunti di vita – stilati prima nello studio in via Vermiglioli e poi a casa, in poltrona – meritavano la pubblicazione. Ben sapendo che l’incontentabile Dante avrebbe ancora corretto e ricorretto. Ma buttare quel testo alle ortiche sarebbe stata una scelta imperdonabile.
Il libro costituisce la summa dei precedenti e propone un modo di stare al mondo che fu di Perugia e dei Perugini. Quando – racconta Letizia – la gente, al mattino, non si chiedeva “Cosa mi metto?”, sapendo che, tanto, il vestito era sempre quello: unico esemplare.
È un libro bello e impossibile da riassumere. Ci sono dentro i personaggi massimi e minimi, tipici e topici, coi rispettivi nomi e soprannomi, con vizi e vezzi, palesi o nascosti tra le pieghe e le piaghe dell’anima.
Un libro in cui si riassapora un mondo, fra nostalgia e rispetto, anche verso gli “umili”, che Dante Magnini definisce tutti egualmente “indispensabili” a tracciare uno spaccato cittadino, a far gustare sapori e saperi, a far respirare un’aria di famiglia.
Un libro che occorre leggere e rileggere, assaporare e meditare. Ammirandone anche la coperta, tratta dall’archivio storico dell’indimenticabile (amico mio di giovinezza) Carlo Tirilli, un altro innamorato della Vetusta. Magari, anche per dire “Perugia mia, non ti (ri)conosco più!”.