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Quando le donne di Lisciano e Mercatale si contendevano le stanghe della sacra icona dell’Addolorata

Tradizioni popolari tra fede e antropologia. Quando le donne di Lisciano e Mercatale si contendevano le stanghe della sacra icona dell’Addolorata. Prodotto statuario realizzato in cartapesta gessata e dipinta coi classici colori dell’azzurro del manto, il marrone della veste, il bianco del velo.

Era la processione del Venerdì Santo, detta anche del “Cristo Morto”, l’occasione in cui si svolgeva una gara per aggiudicarsi il privilegio di mettere la spalla sotto una pertica che sosteneva il baldacchino con la Vergine. Oltre all’atto di fede in sé considerato, si riteneva che il gesto potesse comportare una salda protezione sulle sorti personali e sulle vicende familiari.

Gli uomini, dal canto loro, portavano il catafalco col Cristo (“spiccato” dalla Croce), seguito dal baldacchino della Vergine Maria.

Non esisteva ancora la chiesa parrocchiale di Mercatale (comune di Cortona, provincia di Arezzo, divisa dal Comune di Lisciano, e dalla provincia di Perugia, per il tramite del torrente Niccone). Le due comunità facevano capo alla chiesa di Santa Maria, unica parrocchia di Santa Maria delle Corti di Lisciano Niccone. Anche fisicamente, le due realtà territoriali sono contigue.

Lo racconta il Millotti (1850) precisando che si alternavano, nella responsabilità di corrispondere a tale onore/onere, i fedeli di Santa Maria e quelli della (poi demolita) Cappella Cinaglia di Mercatale (ex Spedale). Addirittura – riferisce Marcello Silvestrini, studioso di storia locale – uno dei momenti topici era costituito dalla opportunità di assistere al “cambio”, ossia al momento in cui le liscianesi posavano il baldacchino per il subentro delle mercatalesi nel ruolo di portatrici. Una palese manifestazione di esemplare, cristiana “sorellanza”.

Al mercatalese Franco Bistoni il merito di aver individuato, in un’istantanea datata 1932, i nomi delle portatrici del suo paese.

In tutta evidenza, siamo esattamente nell’àmbito del culto della Mater Dolorosa, la cui venerazione costituisce il nocciolo delle tante scritture di stampo jacoponiano, riunite sotto la comune denominazione di “Pianto della Vergine”. Noto lo “Stabat Mater” in lingua latina, musicato da tanti illustri autori. Esistono anche tradizionali composizioni del Venerdì Santo in dialetto perugino. Personalmente ne ho pubblicata una, “cantata” fino agli anni Cinquanta del Novecento, da una donna, Erminia Calzoni Bovini, in località Montecapanno di Bosco (Perugia). La composizione, tramandata per via orale, è stata salvata dalla dispersione per i buoni uffici di Giuliano Bastianelli di Ripa, appassionato raccoglitore di documenti d’oralità di cultura popolare nel territorio arnense. Il testo è stato pubblicato nel volume dell’Accademia del Dónca “Perugia e l su dialetto… n amor da faje l vèrzo”.

Mi presi cura di proporre questa Passione nella Cattedrale perugina di San Lorenzo, in lettura interpretata dall’attrice Valentina Chiatti, su iniziativa del priore dei canonici, il monsignore-filosofo Fausto Sciurpa, mio compagno di studi a Palazzo Manzoni. Nel corrente anno, in occasione della Pasqua, l’abbiamo riproposta nel corso di un’iniziativa ANT nella toccante interpretazione dell’amica attrice Isabella Giovagnoni [L’attrice Isabella Giovagnoni propone alla città una splendida Passione popolare in lingua perugina (perugiatoday.it)]. Una circostanza fortunata che ha coniugato cultura popolare e intenzione di fare del bene, finanziando una meritoria Associazione [Art for Ant. Grande manifestazione di solidarietà al Centro Camerale Galeazzo Alessi di via Mazzini (perugiatoday.it)].

Per tornare all’Addolorata liscianese, ora quella statua in gesso, tratta dall’antica chiesa di Santa Maria delle Corti, spicca, accanto alla recuperata campana dell’antico Castello, nella sagrestia della chiesa parrocchiale di Lisciano [Una storica campana dalla chiesa del Castello di Lisciano, sede dell’antico Comune, sottratta alla dispersione e conservata nella nuova chiesa parrocchiale (perugiatoday.it)]. Un bene averla ben conservata ed esposta alla pubblica devozione. Per questioni di fede. Ma anche per non recidere il filo rosso che lega le generazioni, conservando valori persuasi e condivisi.


 

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